Se vi racconto perché il 14 ottobre prossimo andrò a votare Rosy Bindi come segretaria del nuovo Partito democratico, è perché considero le elezioni primarie un esperimento che riguarda tutti gli italiani, anche quelli che hanno idee politiche diverse dall’Ulivo. Non s’è mai visto un partito nascere così: con decine di migliaia di persone pronte a candidarsi gratis per un’assemblea costituente; e tutti i cittadini che lo desiderino, dai 16 anni in su, chiamati a esprimere la loro preferenza.
Almeno proviamoci, a cambiare la politica. Un’innovazione che costringerà felicemente pure gli avversari a migliorarsi, favorendo il coinvolgimento dei cittadini nelle loro scelte.
La mia, di scelta, si basa su una semplicissima considerazione. Anche se non la farò mai di mestiere –sarei un disastro- sono convinto che per migliorare l’Italia oggi bisogna impegnarsi a cambiare la politica: obiettivo temerario, lo so, ma senza una politica rispettabile, quindi in grado di agire efficacemente, rischiamo di finire tutti vittime della legge della jungla.
Dunque prima di tutto credo che farebbe un gran bene alla società italiana, e in particolare alla riforma della politica, avere finalmente una donna in gamba al vertice del Partito democratico. Siamo un paese che umilia ancora l’immagine della donna, incapace di valorizzare il patrimonio di competenze e sensibilità della sua maggioranza femminile.
Quale occasione migliore di dare il buon esempio? Invece assisto a una contraddizione imbarazzante: il Partito democratico ha stabilito che debbano essere donne la metà dei candidati e dei capolista alla sua assemblea costituente. Ma nel frattempo Ds e Margherita si sono accordati perché sia il futuro numero uno, Walter Veltroni, sia il futuro numero due, Dario Franceschini, restino maschi. E anche le donne di partito più in vista, da Anna Finocchiaro a Barbara Pollastrini, al dunque, fanno sì i complimenti al coraggio della Bindi ma poi si sottomettono al compromesso di potere maschile.
Sbagliano: per cambiare la politica ci vuole più coerenza tra il dire e il fare.
Così il felice paradosso è che Rosy Bindi, dopo essere stata democristiana, si presenta adesso come la meno democristiana fra i candidati segretari del Partito democratico. Affronta il giudizio degli elettori senza preventive designazioni di vertice. Raccoglie i suoi sostenitori prescindendo dal gioco delle correnti organizzate che come sempre aspirano a perpetuarsi all’ombra del candidato in apparenza più forte; prefigurando un partito i cui notabili appoggiano una leadership per influenzarla, fiduciosi di piegarla alle loro esigenze di sopravvivenza.
Quando vedo organizzarsi, tutte ipocritamente nel nome di Veltroni, le correnti centriste e quelle sinistra, i sostenitori della Cei e i favorevoli ai Dico, i sindaci del Nord e certi capi clientelari del Sud, avverto il rischio che veda la luce un partito di establishment troppo simile alla vecchia Democrazia cristiana.
Al contrario, la fermezza con cui Rosy Bindi –donna di fede cattolica- ha saputo fronteggiare gli attacchi venuti dalla gerarchia della Chiesa contro la sua legge sui Dico, testimonia un’ammirevole fermezza in materia di laicità dello Stato. E’ quel che ci vuole: politici capaci di sostenere posizioni scomode pagando anche dei prezzi personali.
Mi piace infine la priorità che Rosy Bindi assegna da sempre ai temi della giustizia e della solidarietà sociale. Scimmiottare le posizioni della destra sul fisco, sulla flessibilità del lavoro, sugli immigrati, sui rom, non procurerebbe nuovi consensi al Partito democratico ma lo renderebbe invece subalterno culturalmente ai suoi avversari. Per i riformisti la modernizzazione della società e il sostegno alla crescita economica sono obiettivi fondamentali che si realizzano però solo garantendo la coesione sociale, cioè la tutela dei poveri e la piena cittadinanza delle fasce più deboli della comunità.
Rosy Bindi, con il suo caratteraccio, potrebbe guidare un bel partito popolare di cui siano protagonisti sul serio i cittadini. Rinviando a tempo debito il tema della successione al governo di Romano Prodi. Oggi è molto più importante che milioni di elettori siano coinvolti in questo rischioso ma affascinante tentativo di riforma della politica che sperimenteremo a partire da domenica 14 ottobre.
da VANITY FAIR
Nessun commento:
Posta un commento