venerdì 21 novembre 2008

Forum con Rosy Bindi nella redazione dell'Unità

di Andrea Carugati ed Eduardo Di Blasi - da L'Unità


Onorevole Bindi, ci troviamo a discutere di due sentenze molto importanti, quella su Eluana e quella sul G8 di Genova. Poi c'è il caso Vigilanza Rai, il movimento degli studenti. Partiamo dal G8.
«Sono tutte questioni che ci interrogano sulla nostra democrazia. Mi auguro che la sentenza di Genova, che assolve i vertici delle forze di polizia, non autorizzi nessuno a pensare che vicende del genere si possano ripetere semplicemente mettendosi una maschera. Certo, quella sentenza chiude una pagina. Speriamo che non ne apra un'altra in un momento così delicato. Abbiamo visto cosa è successo a piazza Navona qualche settimana fa. Non voglio riaprire la discussione sui suggerimenti dati (da Cossiga, ndr) sugli infiltrati nelle manifestazioni. È un momento molto delicato: una democrazia che sospende le garanzie e vede usare la violenza da parte delle istituzioni è una democrazia che ha bisogno di essere accompagnata, che richiede grande vigilanza. Segnalo un altro episodio, la rimozione del prefetto di Roma Mosca che aveva fatto il suo mestiere, ha fatto quello che deve fare un funzionario dello Stato rispetto alla politica».

Veniamo alla sentenza della Cassazione su Eluana.
«Credo che la Cassazione e la Corte Costituzionale, che ha respinto un conflitto di attribuzione sollevato dal Parlamento in modo improprio, non potessero pronunciarsi diversamente. Sul merito c'è molto da riflettere, la politica deve assolutamente colmare questa clamorosa e colpevole assenza nel nostro ordinamento. Sono scandalizzata nei confronti di chi parla di condanna a morte o di eutanasia di stato, si erige a difensore del valore della vita e nella scorsa legislatura si è opposto in modo strumentale all'adozione di una norma che facesse chiarezza, che desse ai medici, ai giudici e ai familiari dei punti di riferimento certi. Nel merito resta un interrogativo: l'alimentazione di una persona, la cura quotidiana di un corpo, pur in uno stato di non possibile miglioramento delle condizioni cliniche, è accanimento terapeutico? Per me no. Sono consapevole della complessità della materia, per questo auspico un clima di dialogo vero che non c'è stato mai su questi temi, dopo gli anni 70. Basta pensare alla legge 40, e alle barricate contro il nostro disegno di legge sulle convivenze. Auspico che il Parlamento non legiferi più su questi temi a colpi di maggioranza, che ogni sensibilità etica venga ascoltata, ma temo che si verifichi una seconda edizione della legge 40, quando la maggioranza fu totalmente sorda alle ragioni dell'opposizione. Questa vicenda rinvia anche a un secondo tema. Credo che la disperazione del padre di Eluana, che riguarda anche tanti altri familiari di persone in quelle condizioni, sia in larga parte dovuta alla solitudine in cui si trovano. C'è una eutanasia sociale di cui siamo tutti responsabili. L'assenza di assistenza e di cure contro il dolore è clamorosa e lascia sole migliaia di famiglie ».

Un lettore le chiede:cosa c'è di naturale nella non vita di Eluana, che sopravvive solo grazie alle macchine? Perché nessun prelato parla di questo?
«Non è esatto, perché Eluana respira naturalmente. Ci sono tantissimi casi di questo tipo. Mio padre è in unacondizione in cui se smettiamo di nutrirlo e di assisterlo muore, non riusciamo più a comunicare, a capire cosa pensa. Ogni giorno mi chiedo cosa lui vorrebbe, ma non me la sentirei mai di interrompere le cure. Credo che non possa esserci una legge che autorizza una famiglia a privarsi di una vita. Che mi autorizzi a sopprimere mio padre, magari perché mi sono stancata di assisterlo. È la società che deve aiutarmi a non stancarmi».

La soluzione puòessere il testamento biologico?
«Ma il testamento può contenere disposizioni che rischiano di essere interpretate come eutanasia? Questo è un punto discriminante, perché rischia di portarci a discutere non di testamento biologico ma della possibile introduzione dell'eutanasia nel nostro ordinamento. Nel mio partito molti la pensano così: la proposta di legge di Ignazio Marino, ad esempio, è diversa da quello del prof. Veronesi. Fino a che punto la volontà di una persona può essere rispettata se chiama altri ad atti che possono essere considerati eutanasia? Questo sarà un tema cruciale, maè ora che si inizi davvero a discuterne».

Torniamo al ruolo della Chiesa...
«Una chiesa che parla sempre di diritto naturale oggi si trova paradossalmente a difendere tutte le possibili forme artificiali di sopravvivenza. L'accanimento terapeutico cambia nel tempo, in base ai progressi della scienza. Ci dobbiamo fermare nella ricerca di nuove possibilità per la vita? Certamente no. Ma questo apre altri interrogativi: se un paziente decide ora con il testamento biologico, è in grado di esprimersi in modochiaro ed esplicito rispetto alle condizioni in cui si troverà magari tra 10 anni? Per questo ritengo che una parte di decisione, comunque, toccherà ai medici e ai familiari».

Pensa che il Pd possa uscire triturato da una discussione su questi temi?
«Serve rispetto e ascolto per le opinioni differenti. Noi dovremo essere dei campioni di democrazia, una palestra, visto che il Pd ospita tutte le sensibilità etiche. Se il partito si dilania vuol dire che il suo progetto di partito plurale, non identitario e laico è irrealizzabile. Questa deve essere una occasione di crescita per il Pd, di affinamento della sua natura e del suo dna».

Intanto la destra potrebbe fare una legge a colpi dimaggioranza: loro magari discutono meno e poi agiscono... Non sarebbe meglio, per i progressisti, restare senza una legge come suggerisce l'onorevole Coscioni?
«So come è fatta questa destra e non ho grandi speranze. Ricordo che ai tempi dei Dico loro dicevano "non c'è bisogno di una legge, bastano le sentenze della magistratura...". Oggi dicono l'esatto opposto, "i magistrati non dovrebbero decidere". Per questo penso che una legge ci sarà e noi dovremo collaborare, e far capire bene al Paese le nostre posizioni. Se non saremo ascoltati, gli italiani avranno un'ulteriore prova di che tipo di democrazia stiamo diventando ».

A proposito dei Dico. Quel ddl non fu mai inserito tra le priorità nella scorsa legislatura perché creava imbarazzo politico. Ecosì c'è il rischioche magari ora si approvi la proposta sulle coppie di fatto di Brunetta e Rotondi, un testo decisamente meno avanzato. Non crede che questo possa creare ulteriore disillusione tra gli elettori del Pd?
«Noi prendemmo un'iniziativa come governo, quello di Brunetta non è un atto del governo. I due ostacoli principali furono i teodem e il presidente della Commissione Cesare Salvi, che con il suo radicalismo strumentale distrusse l'impianto dei Dico per poi preparare un altro ddl che non ebbe seguito. Dunque, accanto alla strumentalizzazione del centrodestra, ce ne furono anche dalla nostra parte: gli avversari del nascente Pd videro nella collaborazione Bindi-Pollastrini un simbolo del progetto che volevano contrastare. Vinsero l'integralismo cattolico e quello laico».

E tuttavia ai vertici del centrosinistra, nel governo e nei partiti, non ci fu una spinta decisiva a favore dei Dico. O No?
«Con quella situazione in Senato era impossibile: non potevamo contare sui voti dell'Udeur, dei teodem, dei senatori a vita. Poi c'era Salvi che "dialogava" con Biondi e alcuni di An per fare un'altra cosa... Il governo poteva anche decidere di andare a sbattere consapevolmente, ma con la situazione che c'era nel Paese avevamo già fatto molto. Io credo che quella vicenda vada ricordata positivamente ».

In quel caso lei fu attaccata dalla Chiesa. Non la colpisce che, quando si parla di temi etici, le gerarchie siano sistematicamente d'accordo col centrodestra? Che significato ha per i cattolici del Pd?
«Sui principi la chiesa non può che dire quello che dice. Magari qualche volta ci aspetteremmo un volto più misericordioso, come nel caso dei funerali di Welby, ma sulle questioni fondamentali la dottrina è quella.Diverso è l'uso della dottrina nelle vicende politiche, e qui ci sono responsabilità anche nostre. Io risposi "non conosco il latino" a un editoriale di Avvenire. Sono cattolica praticante, ma facevo il ministro di un paese pluralista e mi assunsi le mie responsabilità. Altri cattolici magari tacciono e si adeguano nelle sacrestie, altri ancora fanno una bandiera politica delle posizioni della chiesa. Non è vero che la chiesa è sempre d'accordo con la destra, e cito temi come l'immigrazione e la pace. Ma c'è una strumentalizzazione politica da parte della destra dei valoridella Chiesa: l'abbiamo vista negli Usa e anche in Italia. Alcuni di loro sono sinceri, ma la stragrande maggioranza del Pdl è laica: molti di An e Fi auspicavano l'approvazione dei Dico, magari privatamente. Però ufficialmente facevano i tutori dei valori cattolici, come ilTremonti che parla di Dio, Patria e Famiglia senza nessun pudore».

E i cattolici del centrosinistra?
«Sono molto critica nei confronti dei cattolici del centrosinistra, a partire da me stessa. Non siamo stati capaci di dimostrare che alcuni valori fondamentali del mondo cattolico sono più coerentemente rispettati dal Pd rispetto a questa destra. Il Vangelo è pieno di richiami alla coerenza, le parole più dure il Signore le rivolge ai Farisei, a chi rispetta formalmente le leggi e non assiste il Samaritano, a chi giudica la prostituta ma è più peccatore di lei, a chi invoca il Signore e poi non fa la volontà del Padre. La famiglia e la difesa della vita sono concetti molto ampi: questa maggioranza havinto anche sul valore della famiglia e ora la sta calpestando perché toglie risorse all'assistenza. La famiglia da chi è attentata? Dai Dico o dalla impossibilità di fare figli, di avere una casa, o di assistere un malato terminale in casa?».

Su alcune questioni, come i temi etici, la discussione è aperta. Su altre, come il meccanismo che permette di destinare alla Chiesa buona parte dei soldi che i cittadini non le destinano direttamente con l'8 per mille, il Pd è in grado di scegliere?
«Io credo che la Chiesa svolga per il bene comune compiti di grandissima importanza. Ma dovremmo essere altrettanto severi nel chiedere che i mezzi di comunicazione che sono stati finanziati con soldi pubblici per garantire il pluralismo (e indica il quotidiano Avvenire, ndr) abbiano un atteggiamento più attento e dialogante con il Paese. Credo che si debba pretendere che quella testata sia rispettosa del pluralismo del Paese».

Mentre siamo qui ci sono migliaia di studenti in strada a Roma. Si è creato un vasto movimento di giovani, professori egenitori. E si ha l'impressione che anche qui il Pd sia rimasto lontano... Nel 2002 nacque il movimentodeiGirotondi, estraneo ai partiti dell'Ulivo, e anche stavolta si rischia una distanza tra partiti e movimenti. Cosa può fare il partito Democratico per evitare questa sfasatura?
«Che ci sia qualcosa di bello che nasca fuori dal circuito stretto della politica io lo saluto ben volentieri, a prescindere dal suo orientamento politico che nessuno conosce nel suo insieme. Per me è un modo con cui la società reagisce a quella che sembra la mutazione genetica della nostra democrazia. Io ero preoccupata dai primi mesi di avvio di questo governo perché non vedevo manifestarsi nemmeno la capacità di reazione, che c'era stata nel movimento sindacale o nei Girotondi. Questo movimento dell'Onda è meno politicizzato, ma molto serio e forte. E dimostra che le antenne ci sono, che quando viene toccato un bene così grande come la scuola, dalla società c'è una risposta. Che io benedico e saluto col cuore aperto. Avrei voluto andare a osservare la manifestazione di oggi di persona, ma ho pensato che è più utile evitare di dare l'impressione di volerci mettere il cappello. Noi dobbiamo ascoltare. Essere degli interlocutori. E continuare a fare la battaglia che stiamo facendo».

Che evoluzione politica avrà questo movimento?
«Non lo so.Mi auguro "non qualunquista". Per adesso non lo è affatto».

La questione della vigilanza Rai. La maggioranza ha eletto un sentore del Pd, Riccardo Villari, alla presidenza.
«Siamo di fronte a un vulnus molto grave che la dice lunga sul concetto di democrazia di questa maggioranza e di questo governo. Dobbiamo reagire in maniera molto forte: nessuno può pensare che il Pd e l'opposizione siano complici di questa manovra. Per questo, se Villari non si dimetterà dalla presidenza, sarebbero necessarie le dimissioni di tutti i commissari dell'opposizione dalla vigilanza».

Il caso Villari rischia di diventare un nuovo caso DeGregorio? Ci sonostati errori da parte del Pd,come dice Follini?
«La carica di presidente della Vigilanza è particolarmente ambita, considerata da molti come la quarta carica dello Stato. È evidente che per noi è stata una sconfitta: è inutile che ci giriamo intorno. Abbiamo fatto sempre il solito errore. Ci si guarda sempre le spalle a sinistra invece che guardarsele al centro. Come è successo con il governo Prodi: la sinistra radicale l'ha sicuramente indebolito,ma a casa ci hanno mandato sei autorevoli esponenti di quel centro moderato che sono sempre lì che non sanno dove stare. Quanto a Villari, basta vedere la sua biografia: è un personaggio che rappresenta la vecchia e inestirpabile malattia della democrazia italiana, che è il trasformismo».

Come se ne esce?
«La Vigilanza spetta all'opposizione. L'abbiamo ricordato fino alla noia d'aver votato Storace, che allora non aveva rimesso la divisa,ma, insomma, era sempre Storace. Il gruppo di Di Pietro non ha alcun incarico istituzionale: non c'è un vicepresidente o unpresidentedi Commissione che sia dell'Idv. La loro scelta sulla Vigilanza era caduta su Leoluca Orlando, un uomo che ha una lunga carriera nelle istituzioni. Perché non poteva fare il presidente? Perché ha fatto un'intervista sui rischi argentini della democrazia italiana? Ma la abbiamo fatta tutti un'intervista sui rischi argentini della democrazia italiana! Abbiamo un segretario di partito che ha paragonato il premier a Putin! Si dirà: poteva l'Idv puntare su un altro nome? Può darsi. Qualcuno dice che adesso Di Pietro è più contento perché può continuare a fare un'opposizione ancora più radicale? Il mondo è pieno di persone che vogliono farsi del male, ma non è questo il punto. Il punto è che noi abbiamo a che fare con questa maggioranza. E non ci si deve illudere che sia diversa. Ripeto, se Villari non si dimette devono farlo tutti i commissari dell'opposizione. Se invece dietro questa vicenda c'è qualcuno che dice "adesso trattiamo per la Rai in maniera diversa", allora io dico che non condivido e prendo subito le distanze. Perché io sono tra quelli che si sono riconosciuti pienamente nel discorso di Walter Veltroni al Circo Massimo. In quelle parole c'era una opposizione fatta di proposte ma ferma. Il nostro popolo vuole questo, non i pasticci ».

Non sarebbe opportuno che il Pd espellesse Villari, in caso di mancate dimissioni?
«Se gli vogliamo fare questo regalo facciamolo. A Villari di stare nel Pd non interessa. Noi dobbiamo trovare un modo perché Villari si dimetta da presidente della Vigilanza. Perché non possiamo dire a parole che questa cosa non ci piace e poi avere comportamenti collaborazionisti dopo il vulnus che è stato portato alla vita di questo Paese».

La maggior parte delle mail arrivate al nostro sito internet in previsione di questo forum chiedono delle primarie...
«Questo nostro partito è nato con le primarie, come un partito nuovo, e noi dovremo fare in modo che continui ad essere così. Altrimenti rischiamo di dare l'idea che a grandi ventate di partecipazione segua, appena si volta l'angolo, l'arrivo dei normalizzatori... Non possiamo permettercelo. Non voglio fare un feticcio delle primarie. So che spesso servono a scaricare sui poveri elettori e cittadini le cose che non riusciamo a risolvere nel partito o a regolare i conti all'interno. Però alla fine le preferisco a tre che si mettono intorno a un tavolo e fanno il gioco dei barattolini. Perché rappresentano la partecipazione politica».

Sempre dalla rete, Costanza Hermanin da Berlino afferma che lei, assieme a Maurizio Lupi, è stata incaricata di formare un osservatorio sul razzismo che però sarebbe un doppione dell'Unat, ufficio nazionale antidiscriminazione razziale, di cui è direttore Isabella Rauti, figlia di Pino e moglie di Gianni Alemanno.
«Sono cose diverse. L'Unat è uno strumento della Comunità Europea che deve essere organizzato dai governi, l'altro è un organo parlamentare. Tra l'altro Isabella Rauti è una persona competente e con diverse idee giuste. Per quello che mi riguarda penso sia un bel segnale che in un momento come questo nel quale il tema del razzismo, delle discriminazioni e delle separazioni è molto forte,un ramo del Parlamento senta la necessità di organizzare due suoi settori (che sono quelli della " informazione" e degli "studi e documentazione"), orientandoli anche al tema del razzismo e delle discriminazioni. Anche perché quando si vota una mozione per le classi separate, come ha fatto la destra, il messaggio che si lancia è ben diverso da quello che si dovrebbe dare. Questo accade perché c'è una eccessiva politicizzazione di temi come questo.Una politicizzazione che trasforma noi parlamentari in membri di parte più che in rappresentanti di una istituzione di tutto il popolo italiano. È questo il punto, che a volte mi trovo a sottolineare ad alcuni colleghi del centrodestra quando sono chiamata a presiedere l'aula della Camera: credo che si debba mettere i parlamentari in grado di scegliere oltre l'impostazione politica».

Il tema dell'immigrazione è uno dei punti di attrito tra maggioranza e opposizione...
«Siccome l'immigrazione non riusciremo a bloccarla, dobbiamo farci i conti. Questa è la sfida vera.O prendiamo la strada della paura, dell'odio, della discriminazione o prendiamo quella dell'integrazione. Facendo attenzione che mentre le prime strade possono andare da sé, sull'integrazione una battaglia va fatta. Su battaglie come questa si fanno degli investimenti sociali, ci si perde la faccia se c'è necessità. Ringraziamo allora il presidente della Repubblica, ma anche Famiglia Cristiana o la posizione ufficiale della Chiesa su questi temi, perché su questo c'è un impegno che va oltre le parti politiche. E che serve affinché il Paese prenda la strada giusta. Se questa battaglia non si combattesse saremo sempre destinati a rimanere vittime di una delle connotazioni culturali della destra, quelle della chiusura dei territori e delle paure».

Un'idea di divisione il governo la sperimenta anche con i sindacati...
«C'è una trasformazione del dna della nostra democrazia.Non faccio feticci dell'unità sindacale, ma c'è un governo che sta lavorando per dividere il sindacato. Non possiamo non affrontare le conseguenze che questo avrà per i lavoratori, in un momentocosì difficile di crisi economica. Ma se Berlusconi decide di incontrare separatamente i sindacati, il Pd deve scegliere di fare un incontro con tutti loro. E aprire una fase interlocutoria sulla crisi del Paese. Perché i sindacati sono tutti interlocutori importanti della politica».

FS: BINDI (PD), SU CHIUSI-ROMA PRONTI A INCONTRARE MORETTI

FS: BINDI (PD), SU CHIUSI-ROMA PRONTI A INCONTRARE MORETTI
da Agi


"Sulla vicenda dei collegamenti ferroviari tra Chiusi e Roma siamo pronti a un incontro con l'ad di Trenitalia Moretti". E' quanto ha dichiarato la vicepresidente della Camera dei deputati ed esponente del Partito Democratico, Rosy Bindi, intervistata dall'emittente del centro Italia "Teleidea".

"Il passaggio degli intercity sulla linea lenta - ha spiegato - sarebbe un ritorno al passato, peraltro con alcuni peggioramenti. La maggioranza degli italiani non risiede nelle grandi città, risiede nei piccoli e medi centri, e viene penalizzata perché spesso il loro lavoro richiede la condizione di pendolari. Non è possibile che venga a mancare un servizio essenziale e fondamentale come quello dei trasporti, in maniera particolare come quello del treno. Facciamo appello al Governo naturalmente, ma anche alla Regione e a Trenitalia, che deve ricordarsi che per quanto azienda privata è pur sempre un'azienda che svolge un servizio pubblico".

"Siamo pronti a un incontro con Moretti - ha aggiunto - così come siamo altrettanto pronti a partecipare a qualsiasi forma di mobilitazione e di manifestazione, che credo sia giusta e sacrosanta, ma credo che soprattutto un parlamentare debba impegnarsi, ancorché dall'opposizione, per trovare una soluzione e per corresponsabilizzare tutti i livelli istituzionali".

sabato 15 novembre 2008

CONTRIBUTO ALLA CONFERENZA PROGRAMMATICA DEL PD:" LO SVILUPPO OLISTICO"

La crisi economica che attraversa il nostro globo non risparmia nessuno, tanto meno la nostra regione. I dati fornitici dall’ultimo rapporto dell’AUR (Agenzia Umbria Ricerche), ben evidenziano le debolezze della nostra Umbria rispetto alle altre regioni limitrofe, la mancanza di spirito imprenditoriale dei nostri cittadini, le scelte politiche economiche e di sviluppo applicate dal dopo guerra ad oggi, non ci consentono oggi,di metterci al riparo dallo tzunami della crisi globale. Una politica, troppo accentratrice e di controllo del territorio, non ha permesso l’apertura allo sviluppo, a quello sviluppo inteso come espansione delle libertà sostanziali dove le persone conquistano nel tempo autonomia e indipendenza.

Le amministrazioni pubbliche, a tutti i livelli, negli ultimi 20 anni, si sono sostituite all’iniziativa imprenditoriale, pilotando uno sviluppo economico virtuale, basato sui grandi lavori pubblici, sull’ affidamento a terzi dei servizi pubblici, sull’incentivazione dell’edilizia ad uso civile; inoltre, hanno svolto un ruolo di ammortizzatore sociale, ingigantendo fuor di misura le proprie dotazioni organiche. Siamo tra le regioni con il livello più alto di dipendenti degli Enti Locali.

La nostra città ne è l’esempio tangibile. Terminati i finanziamenti della Legge Speciale per la rupe, abbiamo assistito e tutt’ora assistiamo ad un lento e profondo indebolimento della nostra economia; i servizi pubblici dell’area welfare sono affidati a soggetti terzi, i grandi eventi programmati nel corso dell’anno creano il basilare indotto al commercio, il settore agricolo dipende e vive in gran parte grazie ai fondi comunitari del PSR, le politiche edilizie hanno per obiettivo la crescita delle entrate nelle casse comunali ed il mantenimento occupazionale del settore . Quindi possiamo ben dire che la gran parte della nostra economia scaturisce dalla finanza pubblica e non da una programmazione di un modello di sviluppo scelto dal pubblico.

Il sopra citato rapporto dell’ AUR 2007 cita testualmente: “Altri processi indicano un livello di imprenditorialità, di propensione all’impresa, ben più basso in Umbria, di altre regioni (Ferrucci) particolarmente nelle società di capitali e cooperative che segnano sempre una direzione di impresa più complessa di altre…….Più in generale può essere portata in primo piano una temperie culturale della società regionale e delle sue più forti potenze organizzate, istituzionali, di ricerca e di finanza, che non riesce a fare, pienamente, di questo nodo del “manifatturiero”, la sfida centrale, cosicché, nel parlare delle contraddizioni del “modello umbro”, si è finito, a nostro avviso, in non poche occasioni, per attribuire la sua contraddittorietà alla diffusività dell’intervento pubblico, piuttosto che a qualcosa di più profondo che invece faceva e fa riferimento, oggi ancor di più, ai protagonismi più molecolari delle soggettività più profonde della società umbra”.
Ed ancora Bruno Bracalente, nella sua relazione al forum del PD “Sviluppo e Libertà”: “La mia lettura è che quei punti critici compongono un quadro strutturale nel quale, da un lato, spicca la dimensione ridotta dei motori autonomi della crescita regionale…………….E dall’altro lato, specularmente, emerge chiaramente l’eccessiva dipendenza del sistema umbro da settori e attività economiche che rispondono ad una domanda tutta interna alla regione, protetti in vario modo dalla regolazione amministrativa (dalle costruzioni, alla grande distribuzione commerciale, ai servizi a rete), non esposti alla concorrenza, in parte dipendenti dai flussi di trasferimenti pubblici .”

Capire oggi, con questo tipo di scenario economico globale quale sia il rimedio giusto, il giusto modello di sviluppo, non è semplice.
Si parla del “quarto capitalismo” e della sua evoluzione nel “quinto capitalismo”, dove gli attori principali sono le piccole e medie aziende del settore del manifatturiero, che danno luogo alla rete tra imprenditori, al terziario, all’indotto, all’internalizzazione, purtroppo realtà che sul nostro territorio sono quasi inesistenti, sono coloro che hanno tenuto in vita il tessuto economico italiano nell’ultimo decennio, è il caso del Triveneto; ma anche delle grandi industrie (quinto capitalismo) che intendono sfidare i mercati e la concorrenza globale con la macro rete, composta di grandi, medie e piccole imprese.

Alcuni illustri economisti sostengono che i parametri di lettura della nostra crescita economica, quali il PIL, non sono più adeguati al contesto economico e sociale del ventunesimo secolo. Propongono formule, che tengano in considerazione la qualità della vita di ogni singolo individuo dove lo sviluppo non scaturisce soltanto dal prodotto interno lordo che è prodotto dal saldo del Conto della Produzione, ( anche un incidente stradale contribuisce alla crescita del PIL).

Tra le più interessanti teorie di sviluppo che avanzano quale “la decrescita”, intesa come concetto secondo il quale la crescita economica - concepita come accrescimento costante di uno solo degli indicatori economici possibili, il Prodotto Interno Lordo (PIL) - non è sostenibile per l’ecosistema terra. I sostenitori della Decrescita partono dall'idea che le riserve di materie prime sono limitate, particolarmente per quanto riguarda le fonti di energia, e ne deducono che questa limitatezza contraddice il principio della crescita illimitata del PIL. La ricchezza prodotta dai sistemi economici non consiste soltanto in beni e servizi: esistono altre forme di ricchezza sociale, come la salute degli ecosistemi, la qualità della giustizia, le buone relazioni tra i componenti di una società, il grado di uguaglianza, il carattere democratico delle istituzioni, e così via. La Decrescita vuole ricostruire un patto tra generazioni: bisogna imparare a pensare attraverso la prospettiva di più generazioni e non solo della nostra.
Due scenari sembrano infatti profilarsi all’orizzonte, quello di una decrescita reale, necessaria, subìta, fatta di razionamenti imposti ai più poveri e foriera di prevedibili involuzioni autoritarie, e quello, invece, di una decrescita condivisa, sostenibile e responsabile che al contrario può dischiudere grandi opportunità per la democrazia e l’autogoverno delle società.

Un altro attuale modello di sviluppo è basato sull’identità territoriale, accompagnato dal tema catalizzatore. La costruzione di un tema catalizzatore rientra nell’ambito della riflessione sul divenire del territorio. Ponendosi come obiettivo la realizzazione di un "territorio-progetto", la riflessione è in primo luogo un esercizio di concertazione democratica che prende in considerazione sia le componenti visibili e dominanti di un territorio, sia quelle nascoste. Si tratta di un percorso collettivo che unisce le attività di animazione, la riflessione su idee comuni, la riorganizzazione delle risorse umane ed economiche intorno ad un grande obiettivo condiviso dalle varie parti. Il rinnovamento dell’identità territoriale combinato al tema catalizzatore, può essere un mezzo per creare una forza di coinvolgimento locale, di concertazione istituzionale e di offerta commerciale. Il nome stesso del territorio può evocare questa forza, se opportunamente riconosciuto e valorizzato dai suoi abitanti.

Si evidenzia comunque che in tutte le nuove teorie e nuove pratiche di sviluppo, l’individuo è al centro, anzi è il centro focale, motore e contemporaneamente beneficiario, del sistema. Lo sviluppo non è più il “capitalismo”inteso quale regime economico e di produzione che nelle società avanzate viene a svilupparsi in periodi di crescita, riconducibile a pratiche di monopolio di speculazione e di potenza e l’individuo è considerato esclusivamente fabbricante di ricchezza, ma bensì potremmo definire il nuovo modello di sviluppo “olistico” considerandolo quale un'unità-totalità non esprimibile con l'insieme delle parti. Uno sviluppo che tenga conto di tutti gli insiemi, sociali, ambientali,economici, che da vita ad un’ unica unità che ha per obiettivo l’innalzamento della crescita individuale della qualità della vita.

Praticare sul nostro territorio “lo sviluppo olistico” richiede uno sforzo unanime di tutte le componenti che compongono la nostra società. Le istituzioni, le imprese, le associazioni, i partiti, i singoli individui devono confrontarsi sullo stesso tavolo e contribuire a costruire un modello di sviluppo condiviso, dove ognuna delle parti si senta coinvolta ed attrice della propria crescita ma anche di quella dell’intera collettività e se ne assume la responsabiltà del risultato finale.

Non è più il tempo delle scelte calate dall’alto, del controllo dei processi, il disegno, l’idea, il modello da perseguire deve essere frutto dei vari saperi, delle varie identità e non sorto da un gruppo d’intellettuali e politici detentori di ricette e rimedi plasmati all’occorrenza, spesso in uno stato di emergenza!
La conferenza programmatica del PD è il laboratorio, il tavolo, che non dovrà esaurirsi in poche ore, ma bensì dovrà proseguire nel tempo e sfociare nello sviluppo voluto dal nostro territorio.

Costituente Nazionale del PD
Silvia Fringuello

mercoledì 12 novembre 2008

Eeee… vai con le primarie ! (forse)

Ebbene sì, anche ad Orvieto avremo le primarie per il candidato sindaco (credo). Lunedì sera al coordinamento comunale di Orvieto, Loriana Stella si è candidata a sindaco della città e Stefano Mocio, sindaco uscente, non ha sciolto la riserva, ovvero non ha dichiarato di voler svolgere il secondo mandato. Che significa? Ma, le ipotesi sono due. Dando per scontato che Loriana Stella non ritorna sulla decisione presa, visto che l’esposizione della propria persona, della sua credibilità, è oramai allo scoperto, è ufficiale, se fosse altrimenti, in gergo politichese “sarebbe bruciata”, Stefano Mocio può: sciogliere la riserva successivamente, entro i termini previsti dal regolamento regionale delle primarie od optare per una ipotetica “liquidazione istituzionale” propostagli da qualche segretario del PD sovra-comunale, tutto ciò, per sventare possibili spaccature del partito orvietano, dal quale scaturirebbe un incerto risultato elettorale (vedi Todi).

Inoltre bisogna considerare anche le primarie di coalizione, che si potranno verificare soltanto se il candidato sindaco non sia “ben accetto” dalla stessa coalizione. Infatti le alleanze avverranno sulla piattaforma programmatica proposta dal PD e concertata con gli ipotetici alleati e non sulle persone candidate a sindaco. Solo successivamente, si discuterà della scelta del candidato, e se questo non fosse gradito allora si proseguirebbe con le primarie di coalizione. Certo, una forza politica minoritaria potrebbe comunque volere le primarie, a prescindere dal candidato sindaco, per potersi “misurare” all’interno della coalizione.

Le primarie potrebbero apparire un gioco sporco, atto solo alla “conta” dei vari poteri, detti in modo più elegante “varie anime”, ma per l’ esperienza vissuta da me direttamente, alle primarie del PD del 14 ottobre 2007 per l’assemblea costituente del partito nuovo, hanno dimostrato di essere lo strumento diametralmente opposto alla vecchio modo di fare politica, ovvero quello delle decisioni calate dall’alto, dall’apparato. Le motivazioni che mi hanno spinto a candidarmi a costituente nazionale sono state molteplici, certamente mosse dall’entusiasmo di partecipare alla costituzione del PD, evento storico dei nostri tempi, ma nella consapevolezza di portare un messaggio nuovo, di proporre un modo diverso di fare politica da quello fino allora conosciuto, di far partecipare i cittadini e le cittadine ai processi decisionali, dandogli l’opportunità diretta di scegliere i dirigenti di un partito ed i programmi.

Tutti coloro che hanno contribuito alla nascita del partito nuovo sapevano esattamente cosa stava succedendo, una rivoluzione del sistema partito italiano, un innovativo metodo di scelta della propria classe dirigente, che sfugge al controllo delle lobbies, dei poteri sommersi. Una testa un voto! Se ci fosse qualcuno che ancora non ha ben compreso le “nuove regole” è bene che faccia un “ripasso” sulle motivazioni che hanno spinto la nascita del PD. I vecchi partiti hanno fallito, sono rimasti imbottigliati dalla loro stessa classe dirigente, sono implosi; ce lo ricordiamo o no che non riuscivano più a fare sintesi, che ogni qualvolta si doveva affrontare una selezione della classe dirigente contemporaneamente nasceva un nuovo partito!

Auspico perciò, per il bene di tutta la collettività, per l’interesse generale dei cittadini, che le primarie siano “la sintesi”. Ci sarà un vincente ed un perdente, come in ogni competizione democratica, e poi, avvenuta la selezione, il partito unito, sosterrà il proprio candidato alle elezioni, forte del consenso popolare, raccolto in precedenza, non potrà altro che vincere !

La lezione democratica impartitaci dalle elezioni statunitensi deve esserci d’esempio:

- Primarie del partito democratico: Obama- Clinton
- Vincitore delle primarie del partito democratico: Obama
- Ricomposizione del partito democratico: Clinton for Obama
- Elezioni Presidente degli Stati Uniti : Obama- McCain
- Eletto Presidente degli Stati Uniti: Obama

Questa è democrazia! Competere sulla base dei programmi, ma anche sulle capacità di raccogliere consenso del singolo individuo, riconoscendogli democraticamente, anche all’interno dello stesso partito, il merito di essere il candidato giusto e dunque contribuire, in modo costruttivo, alla sua elezione alla carica istituzionale.

Trasferendo l’esperienza statunitense in Italia, ad Orvieto, potrei dire che, se una classe dirigente non è riuscita a far conciliare e concertare le varie espressioni e sensibilità del partito, siano esse state su basi programmatiche diverse o motivate da un riconoscimento meritocratico individuale, l’unica soluzione possibile, è quella di delegare la scelta al popolo. Come ? Con le primarie!


A presto. Silvia
" Il primo compito del Partito Democratico deve essere quello di restituire credibilità alla politica". Rosy Bindi