venerdì 17 dicembre 2010

QUI EMILY:PROPOSTA DI LEGGE REGIONALE PER L’IMPRENDITORIA FEMMINILE

Nei giorni scorsi, presso la sede del Consiglio Regionale dell’Umbria, si è tenuto un incontro promosso dall’associazione Emily in Italia Umbria, avente per oggetto una nuova legge regionale per l’imprenditoria femminile. Vi hanno partecipato: il Consigliere Regionale Fausto Galanello, la Dott.ssa Nadia Libera Imbroglini responsabile del settore Imprenditoria Sociale e Femminile di Sviluppumbria Spa e Silvia Fringuello presidente dell’associazione femminile Emily in Italia Umbria.

L’iniziativa è stata pianificata e concordata con il Consigliere Regionale Fausto Galanello, durante “Il compleanno di Emily 2010” alla presenza della Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini. In quella circostanza, su richiesta dell’associazione, il Consigliere si rese disponibile a favorire il procedimento di approvazione presso il Consiglio Regionale dell’Umbria di una nuova legge regionale per l’imprenditoria femminile.

La Regione dell’Umbria ad oggi, è sprovvista di una legge mirata all’incentivazione ed allo sviluppo delle imprese al femminile, pur avendo una massiccia presenza di imprenditrici. Nella sola provincia di Terni nel 2008 (fonte: Camera di Commercio di Terni), le titolari d’impresa erano pari al 25% circa delle imprese presenti sul territorio.In passato la vecchia legge nazionale 215, anche se di difficile accesso, ebbe un grande successo di partecipazione e coinvolgimento da parte delle donne umbre interessate ad intraprendere un percorso lavorativo imprenditoriale.

Nell’anno delle “Pari opportunità”europeo, il 2007, la Presidente del Comitato per l’Imprenditorialità Femminile di Perugia Nadia Libera Imbroglini, propose alla Regione Umbria un disegno di legge sull’imprenditoria femminile: “Opportunità finanziarie per l’impresa femminile in Umbria”, che però non ebbe seguito.

Stante la crisi economica, agli ostacoli socio-culturali alle quali sono soggette le politiche di genere, alle difficoltà delle donne ad entrare nel mondo del lavoro ed accedere al credito per lo sviluppo delle proprie imprese e viste le prossime scadenze istituzionali di programmazione e rimodulazione economica dei fondi destinati alle imprese, l’associazione Emily in Italia Umbria, oggi, ritiene opportuno supportare nuovamente il disegno di legge sopra citato ed invita tutte le associazioni ed i movimenti femminili della Regione Umbria e le Istituzioni preposte, quali i Centri di Pari Opportunità, ad impegnarsi affinché anche la nostra Regione sia dotata di un’opportuna e progredita legislazione in materia.


Orvieto lì, 16 dicembre 2010


La Presidente di Emily in Italia Umbria
Silvia Fringuello

martedì 12 ottobre 2010

DANGER! ORVIETO, STESSO DESTINO DELLA SICILIA ?


21 settembre 2010. Apprendo la notizia del ribaltone alla Siciliana, Il Riformista scrive: “Oggi pomeriggio nasce il Lombardo quater. Lo appoggia una maggioranza inedita che va dal Mpa guidato dallo stesso presidente siciliano agli uomini dell’Udc rimasti fedeli a Pier Ferdinando Casini, ai finiani, ai rutelliani, al Pd. All’opposizione gli uomini di Mannino e Cuffaro, quelli legati a Gianfranco Miccichè, i berlusconiani vicini ad Alfano e Schifani” e segue “Molti osservatori parlano della Sicilia come del laboratorio dell’Italia politica che sarà. Emanuele Macaluso ha spiegato al Corriere della sera che è sbagliato dar vita alla giunta Lombardo con gli occhi rivolti a Roma. È tuttavia difficile resistere a questa tentazione. Il modello siciliano non è esportabile, ma illumina bene uno degli scenari del futuro e aiuta a capire anche la profondità e gli sviluppi della crisi del berlusconismo…..”

25-26 settembre 2010. Sono a Milano Marittima al seminario organizzato da Rosy Bindi “ C’è un nuovo Ulivo nel futuro dell’Italia”, presente anche Bersani. Dalla staffetta degli interventi, di cui molti siciliani, ne scaturisce un’idea chiara di cosa s’intende per “nuovo Ulivo” condiviso anche dallo stesso Bersani. Il documento finale recita : …“Ulivo inteso come progetto e come soggetto portante di un nuovo centrosinistra organico e strategico. Un soggetto cui si propone aderiscano quelle forze politiche che hanno fatto una esplicita scelta di campo per il centrosinistra nel quadro di un bipolarismo da stabilizzare e non da revocare. Un soggetto dai confini aperti che, come si diceva un tempo, "esclude solo chi si esclude" da un patto impegnativo su un progetto di lunga lena chiaramente di centrosinistra e con comprovata cultura di governo. Un soggetto, il nuovo Ulivo, che esperisca l'ipotesi di un'eventuale alleanza di governo con forze centriste che tuttavia si considerano e sono distinte dal nucleo dell'Ulivo.

La situazione politica ed economica italiana precipita rapidamente, gli eventi travolgono qualsiasi tipo di progettazione sia in cantiere, è tutto fuori dal controllo, è il caos ! La società si ribella, il centro destra è al capo linea, nell’incapacità assoluta di governare.

Così anche per il comune di Orvieto, la crisi economica, i problemi di bilancio, l’assenza di un governo capace, investono la classe politica e purtroppo anche tutta la città. L’arte più esercitata è l’ “improvvisazione al potere”. L’assessore Barberani è stato dirompente, con un’uscita plateale è sembrato anticipare la linea politica del proprio sindaco, forse consigliato da qualche amico “navigato” oppure illuminato dal caso Sicilia, propone quale soluzione definitiva: il “ribaltone”.

E’ dal primo consiglio comunale di Orvieto che, con la scusa dell’ “anatra zoppa”, alcuni invitano a stare tutti insieme appassionatamente, centro destra più centro sinistra, il tutto, per “il bene della città”, altri si limitano a suggerire varie soluzioni politiche e gestionali, che possano essere largamente condivise, meglio se all’unanimità, atte alla soluzione del problemi, fino ad arrivare in questi giorni a reclamare il commissario, come se fosse il salvatore della Patria.

Ed allora io mi chiedo: ma quale è il “bene della città” ?

Non ho mai sopportato l’ambiguità, in questo caso l’ibrido consiglio comunale di Orvieto. Non capisco come un Sindaco possa governare una città senza l’approvazione ed il sostegno della maggioranza assoluta dei suoi consiglieri, senza il pieno consenso della collettività, certo la legge elettorale “burlona” lo consente, ma l’etica è tutt’altra cosa.

Un Sindaco da che cosa è spinto, con quali motivazioni è disposto a governare in queste condizioni di piena ed assoluta instabilità politica ed ancor peggio, con una situazione economica-finanziaria disastrata ? Resiste e si sacrifica, per “ il bene della città”? In più di un anno di sindacatura, non è riuscito a concretizzare niente che potesse aiutare o risolvere le cogenti questioni che attanagliano il presente e minano il futuro della città, quindi: perché non si dimette ?

E’ chiaro che il Sindaco ad oggi, non ha avuto nessuna intenzione di mollare, dalle ultime notizie si apprende che pur di rimanere è disposto anche al rimpasto di giunta, per fare cosa: per continuare ad agonizzare in consiglio comunale ? La sola giunta per governare non è sufficiente, a supporto occorre la maggioranza dei consiglieri e da un’analisi attenta i numeri in consiglio non cambiano, pur scompaginando e rimescolando la formazione politica, l’instabilità persisterebbe. Forse è la Caserma Piave la chiave di volta, per l’amministrazione e per i cittadini è il“ bene della città”, forse è stata la causa della perdita di Loriana Stella e dell’elezione di Concina e adesso è per lui la motivazione per reggere a tutti i costi. A queste supposizioni solo il futuro prossimo potrà rispondere.

Nei corridoi del palazzo comunale la tentazione del “ribaltone” aleggia, ma fuori, per le strade, nei luoghi di lavoro, la gente è frastornata, non crede che sia possibile che centro destra e centro sinistra possano, così, di punto in bianco governare insieme. Conosce la logica del potere e quindi non è meravigliata, ma rassegnata e sfiduciata e coltiva sempre più il sentimento dell’antipolitica.

Il “ bene della città” è una politica lungimirante, che elabora, progetta e concretizza, scevra da qualsiasi particolare interesse, esercitata da una classe dirigente politicamente coerente al mandato affidatogli dai propri elettori, nuova, fresca e dinamica, al passo coi tempi, che abbia il coraggio di scegliere e decidere anche sui così detti provvedimenti impopolari per difendere e curare l’interesse generale. Dopo un congruo lasso di tempo, si può dichiarare che l’attuale amministrazione di Orvieto ha dimostrato di non aver saputo ottemperare all’impegno assunto con i propri elettori, l’invocato “cambiamento”, “ la politica del buon governo” di fatto non si sono mai verificati, non gli resta altro che rimettere il proprio mandato.

Il prossimo consiglio comunale sarà decisivo. I consiglieri dovranno assumere come non mai delle responsabilità inedite, qualsiasi sia la loro la scelta, votare a favore o contro il bilancio consuntivo o chiedere le dimissioni del Sindaco, nelle loro mani ci sarà il destino della città. Le forze politiche, in particolare i partiti del centro sinistra, accompagneranno i loro esponenti in consiglio, auspico guidati dal buon senso, a mantenere una linea politica coerente con i loro statuti fondativi, con la loro storia e con i loro valori. Altro che “ribaltone” alla siciliana!

Orvieto lì, 12 ottobre 2010

Direzione regionale del PD
Silvia Fringuello

mercoledì 6 ottobre 2010

AGGIORNAMENTO DA L'UNITA' : "Appello per le primarie per i parlamentari in tutte le circoscrizioni"

Non sono una costante lettrice dell'Unità, anzi.......ma seguo sempre chi difende la nostra democrazia e quindi pubblico e vi invito ad aderire. A presto. Silvia


Caro lettore dell'Unità,

a un mese dal lancio dell’appello per le primarie nelle circoscrizioni, che anche tu hai firmato sul nostro sito www.unita.it, abbiamo pensato di fare un primo passo per cominciare a rendere operativa la nostra iniziativa. Un passo semplice. Consegneremo ai vertici del Partito Democratico la “lista ufficiale” dei primi diecimila firmatari.

Un lunghissimo elenco di adesioni “registrate” e “certificate”, cioè giunte nel contenitore che abbiamo creato appositamente e che tanti di voi hanno utilizzato: nome, cognome, città di residenza e indirizzo e-mail.

Quest’ultimo dato, naturalmente, non sarà reso pubblico, ma è lo strumento che garantisce l’autenticità delle adesioni: provengono da cittadini veri che hanno avanzato una richiesta e pretendono una risposta.

Cittadini ed elettori che non hanno voluto limitarsi a dire un generico “sì” ma intendono mantenere alta l’attenzione su uno strumento di democrazia che diventerà fondamentale se, come purtroppo molti segnali fanno temere, si andrà a votare col sistema elettorale vigente, il cosiddetto “porcellum”.

Questo appello, insomma, si differenzia da altri appelli su svariate tematiche che periodicamente vengono lanciati nei siti internet, compreso il nostro: non serve solo a registrare degli umori, a misurare col termometro delle adesioni la popolarità di un argomento. Certo, serve anche a questo (e i risultati ci hanno entusiasmato: siamo vicini alla cifra di 40.000 firme sommando quelle giunte al sito e alla nostra pagina su Facebook), ma vuole essere soprattutto un modo per dare voce, per “far contare”, ognuno di voi.

Le regole non basta formularle, bisogna applicarle. Non è sufficiente affermare un principio (è questa la funzione degli appelli “tradizionali”), ma è necessario vigilare per renderlo operante. E’ un lavoro collettivo di democrazia e per la democrazia. Un modo di mostrarsi davvero diversi mentre la maggioranza di governo è scatenata nella compravendita dei consensi. E’ un lavoro che richiede tempo, perseveranza e pazienza. E’ questa la ragione per cui abbiamo pensato di avviare questa iniziativa con largo anticipo, senza ancora conoscere la data delle elezioni.

Ed è sempre questa la ragione delle adesioni “firmate” e “certificate”. Voi che comparite in questa prima lista pubblicata sul nostro sito www.unita.it (e vi preghiamo di verificarla in modo da consentirci di correggere errori o ripetizioni e di segnalare tutto a unisciti@unita.it) siete le prime diecimila “sentinelle” delle primarie. E noi de l’Unità assumiamo nei vostri confronti l’impegno di tenervi informati in modo costante sull’andamento dell’iniziativa e anche a incontrarvi direttamente, nei prossimi mesi, nelle vostre città e nelle vostre regioni. Noi faremo sentire la vostra voce e voi farete sentire la vostra. E lo stesso impegno lo assumeremo con i successivi firmatari.

Proprio per sottolineare il carattere di continuità dell’iniziativa e del nostro impegno, la prossima settimana, non appena la lista delle prime diecimila “sentinelle” sarà stata da voi verificata e vagliata (la terremo sul sito per alcuni giorni), la pubblicheremo in un inserto speciale del giornale in edicola.

Un inserto da conservare con cura. Perché certificherà un ruolo che, per chi vorrà, potrà diventare un ruolo attivo. A ognuna delle “sentinelle” invieremo per mail, nei prossimi giorni, un modulo dove raccogliere e certificare altre firme e altre adesioni. Dobbiamo essere in tanti. Dobbiamo ritrovare l’entusiasmo e la voglia di lottare che accompagnarono la nascita del Partito democratico. Dobbiamo ritrovare l’orgoglio di essere i protagonisti del cambiamento.

l'Unità

sabato 25 settembre 2010

QUI UMBRIA: 3500 DONNE RICATTATE SESSULAMENTE PER LAVORARE, IL 42% MOLESTATE


In Umbria il 42 per cento delle donne avrebbe subito in tre anni molestie di varianatura sul posto di lavoro e fuori, ben 3 mila e 500 casi registrati dall’Istat. L’1,8 per cento sono state ricattate per essere assunte, stessa percentuale per mantenere il posto; il 35 per cento sono impiegate, seguono, al 18,9 per cento le professioni qualificate. In Italia quasi 10 milioni e mezzo di donne italiane tra i 14 e i 65 anni hanno subito almeno una volta nella loro vita una molestia sessuale o un ricatto sul lavoro a sfondo sessuale. Nella rete della violenza è caduta una donna su due (51,8%), mentre l’8,5% (un milione e 224 mila donne) è stata molestata o ricattata in ufficio, ambiente considerato «infernale» per 2 milioni e 633 mila lavoratori. Lo rivela l’Istat in due indagini: una sulle molestie sessuali e i ricatti sessuali sul lavoro, l’altra sul disagio nelle relazioni lavorative nel biennio 2008-2009. I dati sono stati diffusi sono frutto di una convenzione con il ministero delle Pari Opportunità. Le donne più a rischio sono quelle che vivono nelle grandi città o nei comuni periferici. Valori sopra alla media si rilevano per le donne del nord-ovest (57,2%) e del nord-est (54,3%). Negli ultimi tre anni, in particolare, sono state 3 milioni 864 mila le donne di 14-65 anni ad aver subito almeno una molestia o un ricatto sessuale. Le ragazze di 14-24 anni (38,6%) hanno il doppio delle probabilità di subire una molestia; seguono le 25-34enni (29,5%). Il fenomeno risulta più diffuso al Sud (21% contro il 19,9% del Nord-ovest e il 17,7% del Nord-est).

Tra le molestie subite più diffuse ci sono quelle verbali, i pedinamenti, l’esibizionismo e la molestia fisica. Negli ultimi 10 anni il numero delle telefonate oscene è crollato: il tasso di vittimizzazione era del 33,4% nel biennio 1997-1998 e ha raggiunto il 17,9% nel 2008-2009. Secondo Linda Laura Sabbadini, direttore centrale dell’Istituto, questo tracollo ha a che vedere con i «cambiamenti nel panorama della telefonia, che funzionano da deterrente». Nell’arco della propria vita il 28,8% delle donne ha subito una molestia fisica su un mezzo di trasporto pubblico o in stazione, l’11,7% in discoteca, pub, ristorante, bar o cinema. L’autore nel 59,4% era un estraneo, e di fronte ad un ricatto sessuale, l’81,7% delle donne non ne parla con nessuno. In calo rispetto a dieci anni fa anche le molestie sessuali: dal 24% del 1997-1998 al 19,7% del 2008-2009. Una tendenza già evidenziata nel 2002 quando si registrò il 19,7% di vittime. In questo caso, per Sabbadini, la spiegazione ha a che vedere con gli effetti positivi prodotti dalla legge sulla violenza sessuale ed anche per una maggiore consapevolezza del fenomeno fra le donne e di cui parlano diffusamente anche i media. «Tutto ciò – precisa – contribuisce a costruire un clima di condanna e stigmatizzazione sociale della violenza contro le donne e favorisce l’inibizione di manifestazioni violente contro di loro». A parere di Simonetta Matone, capo di gabinetto del ministero per le Pari Opportunità, questi «dati in positivo» sono dovuti anche «alla maggior consapevolezza del diritto all’integrità fisica del corpo da parte delle donne. Ma anche gli uomini sono cambiati. Se cala il numero delle telefonate oscene è anche perché c’è una maggior comunicazione sessuale tra uomo e donna. Un grande aiuto lo ha dato la legge sullo stalking; inoltre le donne oggi sentono più vicine le istituzioni».
Fonte: www.ternimagazine.it - ISTAT

martedì 7 settembre 2010

INVITO AD ADERIRE ALL'APPELLO DE L'UNITA' - ELEZIONI POLITICHE - PRIMARIE IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI

IN SOCCORSO ALLE "PRIMARIE" L'UNITA' ! ( LA QUESTIONE E' SERIA PER DAVVERO!) ASPETTO DA TEMPO QUESTO DOCUMENTO, IL REGOLAMENTO DELLE PRIMARIE PER I PARLAMENTARI.... SICURAMENTE CON LA MOBILITAZIONE DELL'UNITA' VERRA' REDATTO SUBITO ! CHI VIVRA' VEDRA' ! POPOLO DELLE PRIMARIE, POPOLO DEMOCRATICO, ADERITE E FATE ADERIRE ...

IN RICORDO DEL 14 OTTOBRE 2007: PRIMARIE COSTITUENTI DEL PARTITO DEMOCRATICO










Abbiamo lanciato la proposta delle primarie nei collegi. Scegliamo noi, scegliete voi chi volete in Parlamento. Non lasciate che siano i partiti a imporre i candidati. E' poco? No, è moltissimo. Provate a pensare a quello che succederebbe: sareste davvero alla guida. Il resto - il programma, le scelte concrete, quelle tattiche e strategiche - non potrebbero più prescindere dalla voce di quelli che voi stessi avete indicato. Sarà... questa da oggi la nostra campagna. L'appello che trovate in prima pagina non porta firme illustri, niente premi Nobel né cantanti, per una volta. Niente sponsor politici di questa o quell'area. I firmatari dell'appello siete voi.

Per aderire basta scrivercelo in questa bacheca oppure inviare una mail a unisciti@unita.it o scrivere tra i commenti su l'Unità on line.

Concita De Gregorio

PER SOTTOSCRIVERE ON LINE:http://www.unita.it/adesioni_primarie/

IL TESTO DELL'APPELLO:

Primarie in tutte le circoscrizioni

Potrebbe aprirsi prestissimo una partita decisiva per la difesa della democrazia e della Costituzione. E tanti, troppi, in questi ultimi anni si sono allontanati dall'impegno politico e anche dal voto. Tanti - lo dicono le nude cifre - anche di quelli che solo pochi anni fa aderirono al progetto del Partito democratico. Pensiamo che la credibilità delle proposte che il Pd avanzerà per uscire dalla crisi sarà proporzionale alla capacità del partito di restituire agli elettori il potere di scegliere e di decidere. La legge elettorale in vigore nega questa possibilità.

Ma il Pd può darsi delle regole che consentano ai suoi elettori di recuperarla. Per questo chiediamo che la scelta dei candidati alla Camera dei deputati - in ogni caso, ma a maggior ragione se si dovesse andare a votare con la legge esistente - venga affidata ad elezioni primarie nelle circoscrizioni. Chiediamo alla dirigenza del Pd di assumere da subito un preciso impegno in questo senso e di definire in tempi rapidi il regolamento attuativo.

PRIMARIE DEL PD - PRESIDENTE REGIONE UMBRIA 2010
CATIUSCIA MARINI(VINCITRICE)/GIANPIERO BOCCI

lunedì 26 luglio 2010

DURANTE LA CRISI......MI RITROVAI PER UNA SELVA OSCURA : Ecolcity - Sopravvivere alla crisi economica globale 2008-201X


"Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ah quanto a dir qual era è cosa dura,
esta selva selvaggia e aspra e forte,
che nel pensier rinnova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte."
Da: Canto I - L'Inferno - Dante Alghieri

Progetto della Città di Dongtan - Cina


Anticipare i tempi aumenta di molto la possibilità di vivere meglio in caso di crisi.

Sopravvivere alla crisi economica globale 2008 - 201X è un libro di Ecolcity, nasce con lo scopo principale di aiutare le persone a mantenere i propri risparmi e la propria salute in un periodo di crisi sistemica globale.

Attenzione alcuni consigli di questo libro vanno adottati solo in caso di grave crisi sistemica nazionale o globale.

E' chiaro che la percezione della gravità della crisi, potrà essere diversa sia per la condizione sociale dell'individuo, sia per il luogo in cui si vive.
Quindi sta ad ognuno di noi fare una attenta valutazione dei propri rischi.

Ecolcity è dedicata a chi sa vedere oltre, alcuni problemi che noi affronteremo per molti non hanno motivo di esistere, e noi facciamo il tifo per questi ottimisti perchè nessuno vuole una crisi del sistema.

Però già nel 2005-2006 persone coraggiose controcorrente, scrissero di una crisi delle borse e del mercato finanziario che avrebbe portato ad una crisi sistemica.
Molti dissero che erano pazzi ma chi li seguì, ora che questo è successo, ha salvato i propri risparmi dalla crisi della borsa e finanziaria.

Ora si parla di crisi sistemica e di grave recessione, ed in questo caso è molto più difficile difendere i propri risparmi ed il proprio lavoro, alcuni gruppi di persone hanno iniziato a proporre soluzioni ed Ecolcity è una di queste.

Ecolcity però non è solo una soluzione ad una crisi economica, ma è anche una risposta alla crisi ambientale e sociale.

Costruire mini città evolute ed ecologiche e villaggi agricoli tecnologici autosufficienti, sarebbe la risposta a tutte le crisi.

Fonte:www.ecolcity.it

ECOCITTA'

Ecocittà, luci e ombre delle città ecologiche
Opportunità per promuovere la sostenibilità o minaccia per gli ecosistemi rurali ? In Francia e Gran Bretagna proteste contro le ecocittà proposte dai governi. Ma la situazione nel mondo è diversa

Pianificazione sostenibile, minimo impatto energetico, stile di vita ecologico per i suoi abitanti. Questi gli ingredienti delle ecocittà, centri urbani che adottano gli standard più elevati in materia di protezione ambientale e risparmio energetico, grazie a sistemi di trasporto urbano pulito, uso di fonti energetiche alternative e soluzioni di design innovative e pragmatiche.
Il concetto di ecocittà, coniato nel 1987 dall’urbanista americano Richard Register, è stato riproposto di recente anche in Europa per indicare una nuova forma di sviluppo urbano, rispettosa dell’ambiente e in linea con gli obiettivi di riduzione del Co². La proposta di costruire ecocittà ha pero’ scatenato accesi dibattiti in Francia e Gran Bretagna, dove le reazioni dei cittadini hanno evidenziato luci ed ombre di questo nuovo approccio.

La situazione in Francia
La proposta formulata dalla commissione Attali di creare entro il 2012 dieci ecocittà con meno di 50mila abitanti, dotate dei più avanzati sistemi di risparmio energetico e comunicazione, ha susciato forti reazioni da parte dei gruppi ecologisti, che hanno protestato contro l’aumento selvaggio dell’urbanizzazione ritenuto contrario ai principi dello sviluppo sostenibile.
In realtà, il concetto di ecovilles non è una scoperta recente nel paese transalpino: già a partire dal 1965 nove Villes Nouvelles sono state create per organizzare al meglio la crescita dei grandi agglomerati urbani, in particolare di Parigi (cinque di queste città furono create in Île de France, altre quattro in Provenza). A causa della mancanza di forti sistemi di trasporto pubblico capaci di collegare tali città alla capitale, il progetto non ha riscosso fra l’opinione pubblica il successo sperato, ma tuttavia i principi di ecoprogettazione sono stati recepiti in maniera ampia dagli urbanisti francesi, che sono riusciti ad applicarli in centri di piccole dimensioni (in particolar modo rurali). La tutela degli spazi verdi e la promozione della mobilità sostenibile sono state comunque promosse in molte grandi città francesi già a partire dagli anni ’90, segno che l’evoluzione in senso ecologico della gestione del territorio è stata comunque una priorità degli amministratori locali, favorendo lo sviluppo di città più pulite ed efficienti.

Le proteste contro le ecocities in Gran Bretagna
La proposta, formulata da Gordon Brown, di creare quindici nuove ecocittà a basso consumo di Co² in Gran Bretagna sta incontrando forti proteste da parte di numerose comunità rurali, che temono la crescente urbanizzazione delle Midlands britanniche, con la costruzione di nuove infrastrutture che danneggerebbero il paesaggio rurale. Gli abitanti di Stoughton sono contrari alla scelta del loro territorio come sede di una nuova ecocittà. Nonostante il progetto favorisca la costruzione di nuove scuole riducendo la distanza fra le abitazioni e i servizi pubblici, i critici asseriscono che la costruzione di ecocittà nei centri rurali servirebbe soltanto ad aumentare la disponibilità di abitazioni per i grandi centri vicini, alterando cosi’ definitivamente i delicati sistemi urbani di villaggi e cittadine di contea.
Paradossalmente, la costruzione di nuovi quartieri ecologici comporterebbe un aumento delle autovetture circolanti nella zona, con un effetto esattamente opposto a quello che si sarebbe voluto ottenere con la costruzione di percorsi ecologici e piste ciclabili.

Il caso di successo di Friburgo (Germania)
Le contraddizioni legate allo sviluppo di ecocittà ed ecovillaggi sono state affrontate in precedenza anche da Germania, Scozia e Danimarca, che hanno realizzato esperimenti di successo in piccoli distretti dei centri urbani per poi replicare su più vasta scala i risultati ottenuti.E’ il caso del distretto di Vauban a Friburgo (Germania), dove un’ex zona militare controllata dai francesi durante la Seconda guerra mondiale è stata riconvertita ecologicamente a partire dal 1996, diventando il fiore all’occhiello del progetto di sviluppo sostenibile lanciato dall’amministrazione comunale. Pianificazione partecipata, car sharing, ampio uso di energie sostenibili e partecipazione dei cittadini alle scelte di gestione della città sono gli elementi chiave di questo ecovillaggio ospitato nella città più verde della Germania, dove la mobilità pulita e l’uso di energie rinnovabili ha decisamente cambiato il modo di vivere il contesto urbano.

Le ecocittà nel mondo
Più che l’Europa, sono l’Asia e l’America ad essere i principali centri di innovazione in tema di ecocittà. In Cina, la città di Dongtan diventarà la prima ecocittà al mondo. Situata in prossimità di Shanghai sull’isola di Chongming, la città è energeticamente autosufficiente e alimentata interamente da fonti rinnovabili : attraverso la promozione della biodiversità e delle coltivazioni biologiche, si intende per la prima volta diffondere principi di sviluppo urbano sostenibile su vasta scala (si prevede che la città avra oltre 500mila abitanti nel 2040). Il governo cinese ha siglato nel 2005 dei contratti con la società inglese Arup per la costruzione di due nuove ecocittà nei prossimi anni su siti ancora da individuare.
Gli esperimenti di ecocittà rappresentano già la regola in alcuni stati americani, come la California. La città di Davis è sicuramente l’esempio più riuscito di città interamente verde, che ospita sin dagli anni ’70 una comunità alternativa che è riuscita a realizzare un quartiere interamente ecologico di oltre duecento abitazioni, quasi del tutto senza automobili e con ampio spazio per marciapedi, parchi pubblici e spazi coltivabili. Questa città nella città è riuscita a ridurre di tre volte i consumi energetici rispetto a Davis, che già consuma la metà rispetto alle altre città californiane. L’esperienza di questo gruppo composto perlopiù da ex hippy è riuscita ad influenzare parte della pianificazione urbana ed ecologica dell’intera città, contribuendo a renderlo il centro più ecologico degli States. Anche in grandi città come Cleveland, Cincinnati e Chicago stanno cominciando a sorgere interventi di ecosostenbilità e sono stati creati piccoli villaggi urbani collegati, come a Cincinnati, con un efficiente sistema di trasporto pubblico.

E in Italia ?
Il concetto di ecocittà non è riuscito ancora ad imporsi all’attenzione di urbanisti e pianificatori locali italiani, che sono riusciti a replicare solo in piccole città esperienze positive. « E’ difficile trovare esperienze di eccellenza in Italia su questi temi- afferma l’architetto e urbanista Raymond Lorenzo- Tanti progetti locali sono stati realizzati sui temi del risparmio energetico, come esperienze di cogenerazione di energia, ma restano esempi isolati. Se parliamo invece di ecovillaggi, questi sono quasi tutti sparsi sul territorio rurale e spesso rappresentano esperienze di lunga durata, come quelle realizzate da alcune comunità alternative quasi completamente lontane dalla società. E’il caso del Popolo degli Elfi, un gruppo che vicino Pistoia pratica la vita in comune, l’agricoltura biologica e bassi consumi energetici». Le esperienze degli ecovillaggi italiani sono raccolte dalla Rete italiane dai villagi ecologici, che raccoglie soprattutto esperienze realizzate da cooperative e comunità dedite al risparmio energetico.
Solo in alcune realtà urbane, come Modena e Volterra, stanno emergendo progetti di bioarchitettura e progettazione ecologica, ma restano esperienze isolate e mai legate ad una visuale urbana d’insieme simile a quella progettata in Francia o Gran Bretagna.

Superare le tensioni con i cittadini
Favorire la partecipazione dei cittadini nella pianificazione delle ecocittà è la pista che le amministrazioni locali francesi e inglesi intendono seguire per realizzare i piani ideati dai governi centrali e che ancora stentano ad emergere dai livelli locali. La via scelta dal Minitero inglese per l’housing è invece quella della coerenza nella pianificazione e della valutazione dell’impatto delle nuove città in termini di traffico e inquinamento prodotti per l’accesso e il deflusso dalle città verdi.

Fonte: ANCI IDEALI www.ideali.be/it/index.html

UMBRIA, IN ITALIA E' AL II° POSTO - LA CORSA ALLA CASSA INTEGRAZIONE


In Umbria il ricorso agli ammortizzatori sociali continua ad aumentare. A maggio 2010 l'Inps ha autorizzato nella nostra regione 3.944.515 ore di cassa integrazione, con un incremento del 175% rispetto ad aprile e, addirittura, del 257,4% rispetto al maggio 2009. E questo balzo così consistente fa volare l'Umbria al secondo posto dopo il Piemonte tra le regioni italiane per incidenza di lavoratori in cassa integrazione sul totale di lavoratori dipendenti: siamo a 23.203 su 271.490, pari all'8,5% (la media nazionale è del 4%).



Su questi dati allarmanti, resi noti dall'Osservatorio regionale sul mercato del lavoro, interviene Mario Bravi, segretario generale della Cgil dell'Umbria. “Se ce ne fosse ancora bisogno, ecco l'ennesima conferma di quanto andiamo dicendo da tempo, purtroppo spesso inascoltati: la crisi non solo non è finita, ma diventa ogni mese più pesante, soprattutto sul versante occupazionale. E ora – avverte Bravi – con la manovra economica del Governo che, come conferma anche Bankitalia, avrà effetti recessivi, la situazione non potrà che peggiorare e in autunno potremmo davvero trovarci di fronte ad un'emergenza senza precedenti”.



Dunque, sono 23.203 i lavoratori interessati dalla cassa integrazione (18.358 a Perugia e 4.845 a Terni), ai quali però vanno aggiunti tutti coloro, almeno 10mila, che hanno già perso il proprio posto di lavoro, ripiombando il tasso di occupazione regionale a livelli prossimi a quelli del 2000, quando era soltanto al 60%. “E poi – prosegue ancora Bravi - c'è da sottolineare, che la stragrande maggioranza dei lavoratori in cassa integrazione è coperta da quella in deroga (19.748, contro i 1.885 dell'ordinaria e i 1.571 della straordinaria). Cassa in deroga che aumenta a ritmi vertiginosi (+356% tra aprile e maggio 2010, +7554% rispetto al 2009) e per la quale le risorse disponibili non sono certo infinite”.



I dati resi noti dall'Osservatorio mettono in evidenza anche i settori maggiormente colpiti dalla crisi. E se quello dei metalmeccanici si conferma in assoluto il più sofferente (vi lavora circa il 33% degli addetti interessati dalla cassa integrazione), emblematico è il dato riferito al commercio (21%), a testimoniare come la crisi si sia ormai allargata dal manifatturiero ai servizi e coinvolga oltre che tantissimi operai anche molti impiegati. Ma la crisi si fa sentire pesantemente anche nel tessile-abbigliamento (15%), in edilizia (9%) e nel settore del legno (5%).



“Questi dati allarmanti ci dicono ancora una volta che è necessaria una forte mobilitazione del mondo del lavoro contro una crisi che si va aggravando sempre più – conclude Mario Bravi – da parte nostra non può che continuare l'impegno a difesa del lavoro e del welfare, che proprio in un momento di dura crisi vanno coniugati sempre più. E questo è proprio quello che intendiamo proporre con il nostro Piano per il Lavoro”.

Fonte: www.umbriajournal.com

domenica 4 luglio 2010

BUON COMPLEANNO EMILY ! "LE DOMANDE DI EMILY......"


Le Socie di Emily in Italia in Umbria, sono liete di invitare la cittadinanza, giovedì 8 luglio 2010 alle ore 17,30 presso il Chiostro di San Giovanni ad Orvieto, all'iniziativa "Le domande di Emily....". Saranno presenti: il Consigliere Regionale Fausto Galanello, il Vice Sindaco del Comune di Orvieto Massimo Rosmini e la Presidente della Regione Umbria Catiuscia Marini, cui spetteranno le conclusioni.

L'incontro nasce dall'esigenza, più volte condivisa sia all'interno dell'associazione sia che con le altre realtà associative ed organizzative che rappresentano parti di società, di dare vita ad un luogo interattivo, di partecipazione attiva ai processi decisionali ove le idee circolino liberamente, i progetti prendano corpo, le istanze vengano ascoltate ed il confronto con il potere gestionale giunga alla conclusione di scelte condivise, insomma un laboratorio reale che appartenga alla "Rete delle Società".

Visto l'attuale contesto storico in cui versa la nostra Nazione, dove alla partecipazione attiva hanno accesso solo pochi soggetti, i soliti bene organizzati ed accreditati, Emily crede sia opportuno attivare da subito la "Rete delle Società", iniziando dall'interazione diretta tra le/i cittadine/i - siano essi organizzati o singoli - e i rappresentanti delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni. In questo contesto, quindi, giovedì 8 luglio le più alte cariche istituzionali del nostro territorio saranno intervistate dalle socie di Emily , dalle/dai rappresentanti di altre associazioni, da altre organizzazioni, dal pubblico, sui temi più cogenti che attanagliano il nostro territorio: sanità, politiche sociali, occupazione, crisi economica e ruolo delle donne nei posti decisionali e nei luoghi del potere.

Con l'auspicio che le associazioni, le organizzazioni di vario tipo e i cittadini/e, possano partecipare all'intervista e dimostrino vivo interesse per gli argomenti proposti, mettiamo a disposizione a questo fine anche lo strumento del web. Infatti attraverso questo redazionale pubblicato sui giornali on line "orvietonews"http://www.orvietonews.it/?page=notizie&id=24966&data=1278056580 ed "orvietosi"http://www.orvietosi.it/notizia.php?id=20489, ci proponiamo di raccogliere le domande e le istanze di chi vorrà lasciarle nello spazio apposito sotto forma di commento, per poi sottoporle agli intervenuti all'iniziativa.

Chi invece vorrà formulare direttamente i quesiti, e quindi sarà presente, dovrà comunicare prima dell'iniziativa il proprio intervento e contenersi, per un'opportuna gestione del dibattito, in un tempo massimo di due minuti e mezzo.

Al termine dell'incontro verrà festeggiato il 3° compleanno di Emily in Italia Umbria, con un aperitivo offerto a tutti/e i/le presenti.

Le Socie di Emily in Italia Umbria, certe dell'interesse suscitato e dell'utilità di questa opportunità offerta a tutta la cittadinanza, ringraziano anticipatamente chi vorrà intervenire e i rappresentanti istituzionali e politici presenti.

La Presidente
Silvia Fringuello

mercoledì 23 giugno 2010

QUI EMILY: BUON LAVORO MARIA RITA!


Soddisfazione di Emily Umbria per la riconferma di Maria Rita Paggio a Segretaria della CGIL di Orvieto

Soddisfazione dell'associazione Emily in Italia Umbria per la riconferma dell’ incarico di responsabile della CGIL di Orvieto conferito alla consocia Maria Rita Paggio, incarico scaturito alla III° Assemblea Congressuale di Zona della Camera del Lavoro di Orvieto.

"Nell' augurare a Maria Rita buon lavoro - affermano la Presidente Silvia Fringuello e le socie dell'associazione - siamo certe, come donne impegnate trasversalmente per l'affermazione dei valori e della cultura del centro sinistra, che saprà ancora dare il suo miglior contributo e infondervi passione e rigore, forte della sua esperienza e delle sue comprovate competenze e, non ultimo, dell'umanità e della capacità di relazione che ha sempre prodigato nella sua azione sindacale, di difesa e rispetto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”. La speranza è che possa contribuire, nell’attuale contesto economico del nostro territorio, provato dalla crisi, alla costruzione di una nuova e positiva fase di sviluppo e di salvaguardia dell’occupazione. Emily in Italia Umbria è pronta ad assicurare a Maria Rita collaborazione e sostegno, nella profonda convinzione, mutuata dallo Statuto e dalle specifiche finalità dell'associazione, che quante più donne saranno presenti nelle istituzioni e nei partiti, particolarmente in ruoli dirigenziali, tanto più la gestione del potere politico-sociale riuscirà ad avvicinarsi, con capacità propositiva e concretezza, alla società e alla vita di ogni giorno.

martedì 22 giugno 2010

UMBRIA: 2009 INDICATORI ECONOMICI A PICCO




L'andamento dell'economia umbra, già negativo nel 2008, è ulteriormente peggiorato nella prima parte del 2009, toccando il minimo storico nel corso del secondo trimestre. Nonostante il successivo lieve recupero dell'attività economica, segnalato dai giudizi sugli ordini degli imprenditori, il 2009 si è chiuso con un calo significativo di tutti i principali indicatori.

Secondo le valutazioni di Prometeia, il prodotto regionale sarebbe diminuito del 4,5 per cento, leggermente meno della media nazionale. Era già sceso nel 2008 (-1,7 per cento). Le indagini condotte dalla Banca d'Italia nei mesi di marzo e aprile indicano che solo la metà delle imprese che hanno sofferto un calo del fatturato (sono tre su quattro tra quelle interpellate) ritengono possibile il ritorno delle vendite ai livelli pre-crisi entro il 2012. Oltre alla debolezza della domanda interna, ha inciso pesantemente la diminuzione delle esportazioni, ridotte di quasi un quarto rispetto all'anno precedente. Ne è risultata l'estensione della crisi anche a comparti solo marginalmente colpiti nel 2008.

La minore domanda ha indotto le imprese a contenere sensibilmente il livello della produzione, riducendo l'input di lavoro e l'intensità di sfruttamento degli impianti. Gli ampi margini di capacità produttiva inutilizzati hanno contribuito, insieme alle incertezze sui tempi della ripresa, al forte calo degli investimenti, testimoniato anche dalla bassa domanda di credito connessa con l'acquisto di immobili e macchinari, a fronte di criteri di offerta il cui inasprimento è andato attenuandosi nel corso dell'anno, soprattutto nei confronti delle aziende finanziariamente più solide.

Nonostante il massiccio ricorso alla Cassa integrazione guadagni (anche straordinaria), il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 6,7 per cento dal 4,8 per cento del 2008. Nel 2009 l'occupazione è diminuita del 2,6 per cento, facendo registrare un calo superiore alla media italiana. In Umbria, inoltre, diversamente da quanto rilevato a livello nazionale, al calo del numero complessivo degli occupati (circa 10 mila persone in meno) si è associato un aumento dell'incidenza dei lavoratori a tempo determinato o parziale, che rappresentano ormai più del 25 per cento del totale.

Il deterioramento delle condizioni sul mercato del lavoro ha pesato sul clima di fiducia e sulla capacità di spesa delle famiglie. Pur in presenza di tassi d'interesse storicamente bassi, è rimasta debole la richiesta di mutui per l'acquisto delle abitazioni, erogati soprattutto a tasso variabile. Ne hanno risentito le imprese dell'edilizia, per le quali il calo della produzione è stato particolarmente marcato.

La crescita dei prestiti complessivi ha rallentato, su base annua, dal 6,8 per cento del 2008 all'1,2 del 2009; a fine anno i prestiti alle famiglie erano in aumento del 4,0 per cento, mentre il volume dei finanziamenti alle imprese era in calo dello 0,2 per cento. Il flusso di nuove posizioni a sofferenza ha accelerato dall'1,5 al 2,2 per cento e l'aggregato ha raggiunto il 4,9 per cento dei prestiti.

Fonte: www.bancaditalia.it
Fonte imaggine:becommerciale.it/tag/servizi/

martedì 8 giugno 2010

“EMILY IN ITALIA UMBRIA CRESCE……”



Il Consiglio Comunale di Terni ha approvato all'unanimità il rinnovo dell’assemblea del Centro Pari Opportunità, anche l’associazione Emily in Italia Umbria ne fa parte. Sono 25 le donne di diritto, ovvero le elette nel Consiglio Comunale di Terni e nei consigli di circoscrizione ed altre 25 scelte tra le donne proposte dal sistema delle associazioni e delle categorie.
Le domande presentate per i 25 posti a disposizione, erano state complessivamente 49. La decisione unanime dell'assemblea municipale di palazzo Spada, è stata salutata con piacere dal Presidente Giorgio Finocchio.

Ad essere eletta in rappresentanza dell’associazione è la socia Cristina Proietti Barsanti, una donna imprenditrice, impegnata nella politica e nel volontariato: è dirigente del Partito Democratico, è stata consigliera di circoscrizione del Comune di Terni, fa parte del Comitato Imprenditorialità Femminile della Camera di Commercio di Terni, svolge attività di volontariato nell’ UNITALSI.

Inoltre Emily, come previsto dal proprio statuto, ha rinnovato le proprie cariche elettive, il direttivo, la Presidente e la Vice Presidente: Donatella Belcapo (Vice Presidente) imprenditrice e consigliera comunale al comune di Orvieto, Maria Graziella Corradini (direttivo) artigiana e vice sindaco al Comune di Monteleone, Silvia Fringuello (Presidente) lavoratrice autonoma – settore servizi e dirigente della direzione regionale del PD, Maria Rita Paggio (direttivo) segretaria della CGIL di Orvieto, Cecilia Stopponi (direttivo) lavoratrice autonoma – settore servizi, consigliera comunale al Comune di Orvieto e segretaria del circolo di Orvieto del partito della Rifondazione Comunista.

Le socie di Emily, certe dell’impegno fin ad oggi profuso per il raggiungimento dello scopo dell’associazione,"di promuovere e sostenere l’affermazione dell’autonomia culturale, professionale e politica delle donne nell’ambito dell’area di centro-sinistra al fine di accrescere la partecipazione e la presenza delle donne nelle istituzioni, di fornire sostegno culturale, a titolo consultivo, alle elette o titolari di incarichi politici e di promuovere e sostenere la creazione di una rete tra donne che svolgono attività diverse in ambito professionale, culturale e politico finalizzata allo scambio di esperienze e alla valorizzazione delle singole competenze," esprimono grande soddisfazione per l’elezione della loro associata Cristina in seno all’assemblea del Centro delle Pari Opportunità del Comune di Terni e le augurano di cuore un buon lavoro e danno mandato e sostegno al nuovo direttivo affinché l’associazione possa continuare a crescere ed affermare i propri obiettivi.

Orvieto lì 08 giugno 2010

La Presidente
Silvia Fringuello

domenica 6 giugno 2010

TREMONTI: " TUTTA L'EUROPA ADOTTA MANOVRE..." E' QUESTA LA VERITA' ?



Tremonti all'ulitma puntata di Annozero rispondeva al quesito di Bersani: "I nostri conti stanno a posto,l'ho detto prima e lo ripeto adesso, ma in tutta Europa si adottano manovre come la nostra,con gli stessi criteri,lo abbiamo deciso insieme..." e non spiegava le motivazioni di questa ulteriore "mazzata" agli italiani. Forse questa è la verità......
A presto. Silvia


DI OLGA CHETVERIKOVA
en.fondsk.ru

Il gruppo Bilderberg si riunirà dal 4 al 7 giugno a Sitges (nella foto), una località turistica a 30 km da Barcellona. Come al solito, le informazioni al riguardo ci vengono fornite da James Tucker e Daniel Estulin i quali hanno rivelato che in cima all’agenda del meeting di quest’anno c'è la recessione globale e le proposte per l’elaborazione di collassi economici che possano giustificare l’istituzione di una governance economica di portata mondiale.

Con l’intenzione di prolungare la crisi economica per almeno un altro anno, il gruppo Bilderberg spera di poter trarre vantaggio dalla situazione per poter formare un “ministero della finanza globale” all’interno dell’ONU. Sebbene la decisione fosse in realtà stata presa l’anno scorso nel meeting tenuto in Grecia, Tucker sostiene che il piano è stato affondato dai “nazionalisti statunitensi ed europei (il gruppo Bilderberg indica genericamente come “nazionalisti” tutte le forze con orientamenti nazionali che abbracciano l’idea di sovranità e indipendenza nazionale)

Per un anno intero, fin dall’ultimo incontro, i rappresentanti dell’esecutivo globale hanno cercato di convincere il pubblico del mondo ad accettare un “nuovo ordine finanziario”. L’idea è comparsa in dichiarazioni fatte da N.Sarkozy, G.Brown e dall’appena eletto Presidente del Consiglio europeo H. Van Rompuy, ma – sullo sfondo di una fase relativamente indolore della crisi – quest’attività è rimasta limitata a condizionamenti psicologici senza risvolti pratici. Come Jacques Attali ha, piuttosto ragionevolmente, descritto nel suo After the Crisis l’Europa non può pretendere di riformare l’architettura della finanza globale finché non si sarà fornita delle istituzioni necessarie per soddisfare i propri bisogni.

La crisi del debito greco che sta mettendo a repentaglio il sistema finanziario europeo fornisce un pretesto per misure drastiche, e sia la crisi che le misure illustrano chiaramente la strategia che ricorre al caos per riordinare gli accordi esistenti. Il caos generato in maniera deliberata è rigorosamente controllato da istituzioni finanziarie, le grandi banche e hedge funds e funziona come un efficiente meccanismo di governance e di ristrutturazione sociale.

L’attacco finanziaro alla Grecia si è prontamente trasformato in offensiva contro l’euro e, come è diventato via via più chiaro, gli sviluppi sono solo parzialmente correlati ai difetti dell’economia greca. L’intensità della crisi che ha momentaneamente costituito una minaccia per l’integrità economica e perfino politica della UE, non può essere spiegata esclusivamente dagli appetiti di sfacciati giocatori finanziari. Ci dovevano essere cause più serie dietro la situazione e in un certo qual modo gli obiettivi perseguiti da coloro che l’hanno creata possono essere capiti dalle dichiarazioni di G. Soros. In altre parole gli europei sono costretti a scegliere tra il collasso dell’eurozona e la centralizzazione della governance.

Jacques Attali ha delineato uno specifico piano di centralizzazione. In esso si suggerisce ai paesi della UE di creare istituzioni proprie per monitorare le attività degli operatori finanziari. Vi si propone anche l’istituzione di un ente di credito europeo di nuova formazione che non essendo legato alle banche centrali e di investimento europee né ai governi, garantirebbe assistenza a credibili istituzioni finanziarie locali, investirebbe nei loro fondi ed estendere i prestiti dietro specifiche condizioni. Attali inoltre invoca la formazione di un ministero di finanza europeo che dovrebbe avere fin da subito il potere di elargire prestiti a nome della UE e la creazione di un Fondo di Bilancio Europeo con il mandato di supervisionare i bilanci dei paesi il cui indebitamento progressivo costituisce l’85% del PIL. In altro modo, avverte Attali, ci si dovrebbe attendere una crisi più severa.

Sotto pressioni statunitensi, A. Merkel ha finalmente acconsentito a misure drastiche ( pare che Sarkozy abbia perfino minacciato di far tornare la Francia alla sua moneta nazionale in caso lei facesse lo stesso) e agli inizi di maggio i ministri della finanza ed economia della UE hanno firmato un accordo sui meccanismi di stabilizzazione dei bilanci nella Eurozona, che prevede l’istituzione di un cuscino di sicurezza di 60 miliardi di euro per riscattare con urgenza i paesi che lottano con le loro finanze pubbliche e l’allocazione di 400 miliardi di euro in prestiti garantiti. Il FMI ha inoltre promesso altri 250 miliardi in caso di necessità. Questo denaro deve servire come cauzione sul debito sovrano della Eurozona, una missione che per la prima volta nella sua storia, la Banca Centrale Europea si avvia a intraprendere. Misure atte a facilitare le transazioni finanziarie erano state annunciate dalle banche centrali di diverse parti del globo inclusa la Federal Reserve che sta per iniettare con urgenza dollari americani nella BCE così come nelle banche britanniche e svizzere.

Tutto questo può essere considerato come la prima fase verso l’amministrazione monetaria europea centralizzata. Non è chiaro ancora come i “grandi architetti” vedono la governance finanziaria globale e quale ruolo intendono assegnare alle istituzioni finanziarie esistenti come l’FMI. Le opzioni vanno dalla costituzione di istituzioni completamente nuove alla possibilità di usare l’FMI come centro di regolamento sovranazionale diretto da un consiglio di 24 grandi, un G-24.

Il piano imposto all’Europa dai circoli dell’élite finanziaria implica l’affrontare il problema dell’indebitamento con l’aiuto di nuovi presititi che potranno solo esacerbare anziché risolvere il problema dei bilanci. Secondo i dati di Eurostat, il debito sovrano dell’Eurozona crescerà dal 77,7% all’ 83,6% del PIL. Inoltre, la comunità di esperti ha ampiamente riconosciuto che i dati del debito per la Grecia, Portogallo e altri paesi della UE sono inverosimilmente bassi e non riflettono le reali proporzioni del problema.

Gli esperti della Lombard Odier, una banca svizzera, stimano che l’ammontare del credito inesigibile della Grecia costituisce l’875% del suo PIL, il che significa che per onorarlo il paese dovrebbe investire – senza alcun utile immediato – una cifra che supera il proprio PIL di un 8.75. La media corrispondente nella Eurozona è di 4.34. e negli Stati Uniti di 5.

Senza risolvere i problemi strutturali, le misure lenitive stanno spianando la strada alle istituzioni sovranazionali invocate da Attali. Il 21 maggio scorso, i ministri della finanza della UE, in un meeting presieduto dal presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet e dal presidente del Consiglio Europeo H. Von Rompuy, hanno adottato il piano tedesco per un coordinamento del bilancio molto più ampio che comprende penalità per gli stati che infrangono le regole di bilancio della UE. Le sanzioni comprendono la sospensione del diritto di voto per i recidivi, sospensione dei fondi per lo sviluppo strutturale, ecc. Era stato anche proposto di sottoporre i bilanci nazionali al vaglio della UE prima del loro dibattimento nelle legislature nazionali. Una relazione sarà preparata entro il 17 Giugno – data del summit della UE – con la bozza di una politica comune dell’Eurozona. Un altro - ancor più ambizioso - progetto come il controllo sui bilanci nazionali dell’Eurozona da parte di un triumvirato composto dalla Commissione europea, la BCE e l’Euro Group, verrà ugualmente discusso.

Gli svantaggi dei pacchetti per il salvataggio sono la peggior parte del problema. Nell’evocare la minaccia di collasso finanziario, i paesi della UE hanno introdotto una serie di misure di austerità estremamente impopolari come i congelamenti di salari e pensionamenti per gli impiegati pubblici, tagli nel welfare, aumento dell’età pensionabile, ecc. La Grecia è stato il primo ma non l’unico paese a essere colpito.

Il governo tedesco progetta di tagliare le spese di 10 miliardi annui tra il 2011 e 2016. La Francia ha abolito la pensione annuale per le famiglia a basso reddito. Sotto la pressione dell’FMI, la Spagna sta avviando una riforma complessiva che include congelamento dell’indice pensionistico, riduzione dei salari e licenziamenti nel settore pubblico, abolizione dei pagamenti di sostegno alle famiglie con bambini appena nati, ecc. Gran Bretagna, Italia e altri stanno percorrendo la stessa strada.

Le conseguenze delle suddette misure sono difficili da calcolare considerato che l’Europa sta già affrontando un notevole tasso di povertà e problemi di disoccupazione (quest’ultima ha raggiunto il 10% della popolazione economicamente attiva e continua a crescere e almeno 80 milioni di persone si trovano attualmente sotto la soglia di povertà).

Molto probabilmente, il governo ombra mondiale – il gruppo Bilderberg – somministrerà al pubblico l’oblio attentamente calcolato dei problemi sociali per permettere alle èlite di scaricare gli asset in crisi, conservare il controllo della situazione e deviare le proteste dalle vere cause dei problemi.

Dalla prospettiva della Russia, la conclusione è ovvia: l’intensificazione della sua integrazione nell’Europa “libera” rafforza il controllo finanziario e informativo sulla Russia esercitato da parte delle èlite globali che cercano di strapparle il ruolo di giocatore indipendente nel quadro geopolitico.

Olga Chetverikova
Fonte: http://en.fondsk.ru - http://forum.escogitur.com/index.php/topic,43771.msg53803.html
Link: http://http://en.fondsk.ru/article.php?id=3069
3.06.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.orga cura di RENATO MONTINI

"CONTRO L'ETNOCENTRISMO DELLO SVILUPPO"


Segue.... "LO SVILUPPO OLISTICO" 15/11/2008
Contributo alla conferenza programmatica del Pd di Orvieto

Di SERGE LATOUCHE

Contro l'etnocentrismo dello sviluppo

Seguendo la falsariga dei pubblicitari, i media chiamano «concetto» qualsiasi progetto che si limiti al lancio di un nuovo gadget, ivi compreso di carattere culturale. Non c'è da stupirsi, in queste condizioni, che sia stata posta la questione del contenuto del «nuovo concetto» di decrescita. Correndendo il rischio di deludere, ripetiamo qui che la decrescita non è un concetto, nel senso tradizionale del termine, e che propriamente parlando non esiste una «teoria della decrescita», come gli economisti hanno potuto elaborare delle teorie della crescita.La decrescita è semplicemente uno slogan, lanciato da coloro che procedono a una critica radicale dello sviluppo, con lo scopo di spezzare il conformismo economicista e di delineare un progetto di ricambio per una politica del dopo-sviluppo. (1)

La decrescita in quanto tale non costituisce un'alternativa concreta, ma è piuttosto la matrice che permette di costruire delle alternative (2). Si tratta quindi di una proposta necessaria per riaprire gli spazi dell'inventitività e della creatività, bloccati dal totalitarismo economicista, sviluppista e progressista. Attribuire ai suoi fautori il progetto di una «decrescita cieca», cioè di una crescita negativa senza rimettere in questione il sistema, e sospettarli, come fanno alcuni «alter-economisti», di voler impedire ai paesi del Sud di risolvere i loro problemi, significa essere sordi se non addirittura in malafede.
Il progetto di costruzione, al Nord come al Sud, di società conviviali autonome ed econome implica, per parlare con rigore, più una «a-crescita», come si parla di a-teismo, che una de-crescita. Si tratta d'altronde molto precisamente di abbandonare una fede e una religione: quella dell'economia. Di conseguenza, bisogna senza tregua decostruire l'ipostasi dello sviluppo.
Malgrado tutti i fallimenti accumulati, il legame irrazionale con il concetto-feticcio di «sviluppo», svuotato di ogni contenuto e ri-qualificato in mille modi, traduce l'impossibilità di tagliare i ponti con l'economicismo e, alla fine, con la crescita stessa.
Il paradosso è che gli «alter-economisti», spinti in posizione di difesa, finiscono per riconoscere tutti i misfatti della crescita, pur continuando a volerne far «beneficiare» i paesi del sud. E si limitano, al nord, alla sua «decelerazione». Un numero crescente di militanti «altermondialisti» concedono ormai che la crescita che abbiamo conosciuto non è né sostenibile, né auspicabile, né durevole sia socialmente che ecologicamente. Tuttavia, la decrescita non sarebbe una parola d'ordine valida e il Sud dovrebbe avere diritto a un «tempo» di questa maledetta crescita, per il fatto di non aver conosciuto lo sviluppo.

Messi all'angolo nell'impasse tra «né crescita né decrescita», ci rassegnamo a una problematica «decelerazione della crescita» che dovrebbe, secondo la pratica sperimentata nei concilii, mettere tutti d'accordo su un malinteso. Però, una crescita «decelerata» condanna a escludersi dai vantaggi di una società conviviale, autonoma ed economa, fuori crescita, senza tuttavia conservare il solo vantaggio di una crescita vigorosa ingiusta e distruttrice dell'ambiente: vale a dire l'occupazione.
Se rimettere in causa la società di crescita getta nella disperazione il mondo operaio, come alcuni sostengono, non è però una riqualificazione di uno sviluppo svuotato della sua sostanza economica («uno sviluppo senza crescita») che renderà speranza e gioia di vivere ai drogati di una crescita mortifera. Per capire perché la costruzione di una società fuori crescita è anche necessaria e auspicabile al Sud oltreché al Nord, bisogna ritornare all'itinerario degli «obiettori di crescita». Il progetto di una società autonoma ed economa non è nato ieri, ma si è costruito nel filone della critica allo sviluppo. Da più di 40 anni, una piccola «internazionale» anti o post sviluppista analizza e denuncia i misfatti dello sviluppo, proprio al Sud (3). E questo sviluppo, dall'Algeria di Huari Bumedien alla Tanzania di Julius Nyerere, non era soltanto capitalista o ultra-liberista, ma ufficialmente «socialista», «partecipativo», «endogeno», «self reliant/aucentrato», «popolare e solidale». Sovente era anche messo in opera o appoggiato dalle organizzazioni non governative (Ong) umaniste. Malgrado alcune micro-realizzazioni significative, il suo fallimento è stato considerevole e il programma che doveva portare alla «realizzazione di ogni essere umano e di tutti gli esseri umani» è crollato nella corruzione, nell'incoerenza e nei piani di aggiustamento strutturale, che hanno trasformato la povertà in miseria.

Questo problema concerne le società del Sud, che abbiano intrapreso la costruzione di economie di crescita, per evitare di ritrovarsi più tardi nell'impasse alla quale questa avventura le condanna. Per loro si tratterebbe, sempre che siano ancora in tempo, di «de-svilupparsi» cioè di levare gli ostacoli che si ergono sulla loro strada, per realizzarsi altrimenti. Non si tratta però in alcun caso di fare qui l'elogio senza sfumature dell'economia informale. In primo luogo, perché è chiaro che la decrescita nel Nord è una condizione per la realizzazione di tutte le alternative nel Sud. Fino a quando l'Etiopia e la Somalia saranno condannate, nei momenti in cui la carestia è forte, a esportare prodotti alimentari per i nostri animali domestici, fino a quando ingrasseremo il nostro bestiame da carne con delle gallette di soja prodotte dai terreni conquistati con il fuoco nella foresta amazzonica, soffocheremo qualsiasi tentativo che permetta una vera autonomia al Sud (4).

Se, al Nord, vogliamo davvero manifestare una preoccupazione di giustizia più forte che la sola e necessaria riduzione dell'impatto ecologico, forse bisognerà dare spazio a un altro debito il cui rimborso è a volte richiesto dai popoli indigeni stessi: Restituire. La restituzione dell'onore perduto (quella del patrimonio saccheggiato è molto più problematica) potrebbe consistere nello stabilire una partnership di decrescita con il Sud.
Al contrario, mantenere, o ancora peggio, introdurre la logica della crescita al Sud con il pretesto di farlo uscire dalla miseria creata da questa stessa crescita non può che occidentalizzarlo ancora di più. C'è in questa proposta che deriva da un buon sentimento - voler «costruire scuole, centri di cura, reti di acqua potabile e rinnovare l'autonomia alimentare» (5) - un etnocentrismo banale che è precisamente quello dello sviluppo. Di due cose l'una: o viene chiesto ai paesi interessati cosa vogliono, attraverso i loro governi o con inchieste realizzate presso un'opinione manipolata dai media, e allora la risposta sarà senza incertezze; prima di quei «bisogni fondamentali» che il paternalismo occidentale attribuisce loro, sono richiesti condizionatori, telefonini, frigoriferi e soprattutto automobili (Volkswagen e General Motors prevedono di fabbricare 3 milioni di auto l'anno in Cina nei prossimi anni e Peugeot, per non restare indietro, sta facendo investimenti giganteschi...); aggiungiamo, certo, per la gioia dei loro dirigenti, centrali nucleari, aerei da guerra e carri armati Amx... Oppure ascoltiamo il grido di dolore di un leader contadino guatemalteco: «lasciate in pace i poveri e non parlate più di sviluppo» (6). Scommettere sull'invenzione sociale

Tutti gli animatori di movimenti popolari, da Vandana Shiva in India a Emmanuel Ndione in Senegal, dicono la stessa cosa. Difatti, se incontestabilmente tutti i paesi del Sud vogliono «ritrovare l'autonomia alimentare», questo significa che l'avevano persa. In Africa, fino agli anni '60, prima della grande offensiva dello sviluppo, questa autonomia esisteva ancora. Non è forse l'imperialismo della colonizzazione, dello sviluppo e della mondializzazione che ha distrutto questa autosufficienza e che ogni giorno aggrava un po' di più la dipendenza? Prima di essere massicciamente inquinata dai rifiuti industriali, l'acqua, che venisse o meno dal rubinetto, era potabile. Per quel che riguarda poi le scuole e i centri di cura, siamo così sicuri che siano le istituzioni più adatte per introdurre e difendere cultura e salute? Ivan Illich un tempo aveva avanzato dei seri dubbi sulla loro pertinenza, anche per il Nord (7) .
«Ciò che continuiamo a chiamare aiuto - sottolinea a giusto titolo l'economista iraniano Majid Rahnema - non è che una dipendenza destinata a rafforzare le strutture generatrici della miseria. Invece, le vittime spoliate dei loro veri beni non vengono mai aiutate quando cercano di smarcarsi dal sistema produttivo globalizzato per trovare alternative conformi alle proprie aspirazioni» (8).
Tuttavia, l'alternativa allo sviluppo, nel Sud come nel Nord, non potrebbe essere un impossibile ritorno indietro, né l'imposizione di un modello uniforme di «a-crescita». Per gli esclusi, per i naufraghi dello sviluppo, non può essere altro che una sorta di sintesi tra la tradizione perduta e la modernità inaccessibile. Formula paradossale che riassume bene la doppia sfida. Possiamo scommettere su tutta la ricchezza dell'inventività sociale per coglierla, una volta che la creatività e l'ingegnosità saranno liberate dalla gabbia economicista e sviluppista. Il dopo-sviluppo, d'altronde, è necessariamente plurale.

Si tratta della ricerca di modi di realizzazione collettiva nei quali non sarà privilegiato un benessere distruttore di ambiente e legami sociali.

L'obiettivo di vivere una buona vita può venire declinato in molteplici modi, a seconda dei contesti. In altri termini, si tratta di ricostruire/ritrovare delle nuove culture. Se siamo per forza obbligati a dargli un nome, possiamo chiamare questo obiettivo umran (realizzazione) come lo fa Ibn Kaldûn (9), swadeshi-sarvodaya (miglioramento delle condizioni sociali di tutti) come lo fa Gandhi, bamtaare (stare bene assieme) come fanno i Toucouleurs, o fudnaa/gabbina (fascino di una persona ben nutrita e senza preoccupazioni) come presso i Borana dell'Etiopia (10). L'importante è segnare il punto di rottura con l'impresa di distruzione che si perpetua sotto l'egida dello sviluppo o della mondializzazione. Queste creazioni originali, di cui è possibile trovare qui e là degli avvii di realizzazione, aprono la speranza per un dopo-sviluppo.
Senza alcun dubbio, per mettere in opera queste politiche di «decrescita», c'è bisogno come preliminare, al Sud come al Nord, di una vera e propria cura di disintossicazione collettiva. La crescita, in effetti, è stata ad un tempo un virus perverso e una droga. Majid Rahnema afferma giustamente: «per infiltrarsi negli spazi locali, il primo Homo oeconomicus aveva adottato due metodi che non possono che ricordare l'uno l'azione del retrovirus Hiv e l'altra i mezzi impiegati dai trafficanti di droga» (11). Si tratta della distruzione delle difese immunitarie e di creazione di nuovi bisogni. Spezzare le catene della droga sarà molto difficile, anche perché è nell'interesse dei trafficanti (cioè la nebulosa delle società multinazionali) di mantenerci in stato di schiavitù. Tuttavia, abbiamo buone speranze di essere sollecitati dallo choc salutare della necessità.

Serge Latouche*
Fonte:http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/index1.html
Novembre 2004




note:

* Professore emerito di economia dell'università Paris-Sud, presidente di Ligne d'horizon (associazione degli amici di François Partant).
Ultima opera pubblicata: Survivre au développement. De la décolonisation de l'imaginaire économique à la construction d'une société alternative, Mille et une nuits, Fayard, Parigi, 2004.


(1) Cfr. «Sviluppo, una parola da cancellare», Le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 2001. Vedi anche La Décroissance. Le journal de la joie de vivre, Casseurs de pub, 11, place Croix-Pâquet, 69001 Lione.

(2) Cfr. «Brouillions pour l'avenir: contributions au débat sur les alternatives», Les Nouveaux cahiers de l'Iued, n.14, Puf, Parigi-Ginevra, 2003.

(3) Questo gruppo ha pubblicato The Development Dictionary, Zed Books, Londra, 1992. Una traduzione francese è in via di pubblicazione presso Parangon, con il titolo Dictionnaire des mots toxiques.

(4) Senza contare che questi «traslochi» planetari contribuiscono a sregolare ancora di più il clima, che le culture speculative da latifondisti privano i poveri del Brasile di fagioli e che, per di più, si rischiano catastrofi biogenetiche del tipo della mucca pazza...

(5) Jean-Marie Harribey, «Développement durable: le grand écart», L'Humanité, 15 giugno 2004.

(6) Citato da Alain Gras, Fragilité de la puissance, Fayard, Parigi, 2003, p.249.

(7) L'uscita del primo volume delle sue opere complete (Fayard, Parigi, 2004) è l'occasione per rileggere Némésis médicale, che resta assolutamente attuale.

(8) Majid Rahnema, Quand la misère chasse la pauvreté, Fayard/Actes Sud, Parigi-Arles, 2003, p.268.

(9) Storico e filosofo arabo (Tunisi 1332-Il Cairo 1406).

(10) Gudrun Dahl e Gemtchu Megerssa, «The Spital of the Ram's Horn : Boran concepts of development», in Majid Rahnema e Victoria Bawtree, The Post-Development Reader, Zed Books, Londra, 1997, p.52 e seguenti.

(11) Majid Rahnema, ibid., p.214.
(Traduzione di A. M. M.)

domenica 16 maggio 2010

ALLA RICERCA DISPERATA DI GETTITI SICURI.......IL FANTASMA DELLA GRECIA LO ABBIAMO IN CASA !



Alla ricerca disperata di gettiti sicuri ed immediati.........a pagare come al solito è la costellazione dei "dipendenti", ovvero di coloro che "dipendono", questa volta è il turno "dei pubblici".Un piccolo "azzardo sulle "pensioni d'oro" e sulla casta dei parlamentari ma.......nessun accenno all'innalzamento delle tassazioni delle rendite finanziare ed alla lotta contro l'evasione, anzi si prevedono condoni.
Noterete,che gli altri paesi non si discostano dall'impostazione della finanziaria italiana, siano essi di centro destra che di centro sinistra. L'acqua è alla gola, il mercato deregolamentato detta legge, ciò che il liberismo ha seminato adesso raccoglie. Sveglia! Dico al popolo "dipendente", difendete almeno i diritti acquisiti!
Quale sarà il finale di tutta questa vicenda? Credo, che ancora una volta l'Italia si "salverà", come negli anni '70, con il lavoro nero e con l'auto gestione.
Che amaro in bocca!
A presto. Silvia

Il governo studia il blocco delle finestre sulle pensioni da luglio
di Dino Pesole

ROMA - Il governo accelera sulla previdenza, con gli interventi allo studio per le "finestre" di uscita del 2011. E spunta a livello tecnico, come «ipotesi di riserva», anche la possibilità che il blocco delle finestre pensionistiche investa già le uscite per anzianità e vecchiaia in programma per il 1° luglio, per un risparmio valutato tra gli 800 milioni e un miliardo. L'ipotesi viene accreditata da fonti parlamentari e sindacali, mentre dal governo si mantiene sull'argomento uno stretto riserbo.

Ne sarebbero comunque esclusi alcune tipologie di lavoratori, tra cui i cassintegrati. Tra i tagli che compongono il menu della manovra correttiva in via di preparazione entra il mancato rifinanziamento della detassazione al 10% per gli straordinari e i premi di produttività del settore privato, in sostanza la parte variabile del salario. Misura introdotta nel 2009 in via sperimentale per favorire l'incremento della produttività e prorogata dall'ultima Finanziaria. Il mancato rinnovo consentirà di risparmiare 860 milioni. Nel capitolo previdenza potrebbe entrare anche l'aumento dell'età pensionabile per le donne del settore privato, ma allo studio vi sarebbe anche un nuovo contributo di solidarietà sulle sulle cosiddette «pensioni d'oro». Trova conferma anche la stretta sulla corresponsione delle pensioni di invalidità, sulle quali verranno effettuati nuovi controlli.

Come di consueto nelle fasi di preparazione delle manovre di finanza pubblica, anche in questo caso la ricognizione preliminare si infittisce di possibili misure allo studio. Poi spetterà al ministro dell'Economia, Giulio Tremonti e al Consiglio dei ministri nella sua collegialità operare le scelte finali. «Prepariamoci a tempi di contenimento del perimetro pubblico» ha osservato il ministro del Welfare Maurizio Sacconi. «Sappiamo bene che occorre una migliore dislocazione del personale nelle pubbliche amministrazioni. Al tempo stesso riformeremo il sistema fiscale attraverso un percorso a forte impronta equitativa». È la conferma che il pubblico impiego sarà uno dei capitoli centrali della manovra correttiva biennale da 25 miliardi (12,8 miliardi sul 2011), il cui varo è atteso per i primi di giugno. I risparmi vengono quantificati in circa 5 miliardi.

Il menu allo studio va dal blocco dei rinnovi contrattuali 2010-2012 (una partita che vale 5,3 miliardi nel triennio) a quello del turn over (in scadenza a fine anno), il congelamento temporaneo degli aumenti per il personale pubblico non contrattualizzato. Trova conferma anche il possibile prelievo delle risorse dirette ai Fua (fondi unici di amministrazione) che consentono di fatto l'autofinanziamento delle attività extra bilancio delle amministrazioni pubbliche nella stesura dei contratti di secondo livello. L'intervento vale circa un miliardo nel biennio.

La panoramica delle misure allo studio comprende anche il possibile raddoppio (da tre a sei mesi) del tempo di attesa per corrispondere agli statali il trattamento di fine rapporto. Viene in sostanza ripescata l'analoga norma, poi accantonata, inserita nel decreto anticrisi del luglio 2009 poi dichiarata inammissibile alla Camera. Stando alle disposizioni in vigore, la buonuscita è liquidata dall'Inpdap entro tre mesi. Trascorso tale periodo, scatta l'interesse del 5% a carico dello Stato. Il risparmio si otterrà per effetto dello slittamento nella corresponsione degli interessi.

Quanto alla proposta avanzata dal ministro leghista Roberto Calderoli di un taglio del 5% sugli stipendi di parlamentari, ministri, alti funzionari pubblici e super manager, il capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto precisa. «È il governo nel suo insieme che deve decidere». Di certo se si dovranno fare dei sacrifici «è giusto che siano i politici farli per prima», commenta il presidente del Senato, Renato Schifani. «È solo uno slogan», taglia corto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Sul fronte fiscale, si conferma il possibile giro di vite sui giochi on line, e il potenziamento della lotta all'evasione internazionale. Il pacchetto potrebbe essere affiancato da un primo insieme di misure per semplificare il rapporto tra fisco e contribuenti. In arrivo poi una sorta di regolarizzazione per gli immobili "fantasma" identificati dal l'Agenzia del territorio.

I sindacati sono in allarme per i prospettati interventi su previdenza e pubblico impiego: «La manovra finanziaria, se confermate le indiscrezioni, si prefigurerebbe come una mannaia per i dipendenti pubblici e per i pensionati», osserva Rossana Dettori, segretario generale dell'Fp-Cgil. Dall'opposizione la presidente del Pd, Rosy Bindi giudica "singolare" che per due anni il governo «abbia detto che la crisi non c'era, e ora invece annuncia una manovra assolutamente tradizionale con tagli lineari che vanno a colpire in maniera indiscriminata i servizi».

Le misure allo studio

Stop alla detassazione del salario di produttività Tra le ipotesi allo studio c'è la possibilità di non rifinanziare la detassazione del 10% della parte variabile del salario legato alla produttività, norma confermata nella finanziaria 2010

Stretta sulle finestre per il pensionamento Risparmi potrebbero essere reperiti con una chiusura delle finestre per il pensionamento di anzianità e di vecchiaia. Ma sono previsti risultati anche dalla stretta sulle false invalidità

Lotta a giochi clandestini e all'evasione fiscale La lotta all'evasione fiscale, soprattutto internazionale, e ai giochi clandestini online per garantire in totale maggiori incassi per 16,6 miliardi nel 2010 rispetto ai 9,1 realizzati nel 2009

Blocco ai contratti e al turn-over nella Pa Verrebbe rinviato il rinnovo dei contratti del pubblico impiego per il triennio 2010-2012 e prorogato il blocco del turn-over. Trova conferme l'ipotesi di un allungamento deitempi per pagare le liquidazioni

Razionalizzazione e chiusura di enti inutili Oltre alla circolare del ministro dell'Economia sull'utilizzo di sedi e spazi negli uffici pubblici si punta a nuove razionalizzazioni e chiusure di enti pubblici e amministrazioni inutili

Taglio agli emolumenti legati a incarichi politici La quota di partenza è il 5%, di cui per ora ha parlato il ministro Roberto Calderoli. L'ipotesi è di tagliare gli emolumenti di politici e alti funzionari come già hanno annunciato altri paesi dell'Ue



Fonte: ilsole24ore.com

giovedì 13 maggio 2010

REGIONALI 2010: UNA VERITA' SCOMODA

Vi segnalo quest'analisi del voto, eseguita dal prof. Roberto D'Alimonte,tra tutte quelle cho ho letto, credo sia la più veritiera. A voi i commenti. Buona lettura. A presto. Silvia


http://www.democraticidavvero.it/adon.pl?act=doc&doc=6418

venerdì 23 aprile 2010

LA REPUBBLICA NATA DALLA RESISTENZA



Giovanni A. Cerutti
La Repubblica nata dalla Resistenza

La scelta compiuta dal governo De Gasperi di stabilire di svolgere nella data del 25 aprile, in cui il Cln diede inizio alla liberazione delle principali città del nord, Milano su tutte, le celebrazioni che ricordassero la fine della guerra, presenta profili che la distinguono da quanto avvenne nel resto d'Europa. In quasi tutti gli altri paesi europei, infatti, si scelse di associare tali celebrazioni alla data della fine della guerra, l'8 maggio.
La decisione venne presa fin dal primo anniversario, nel 1946, ed ebbe come suo principale promotore Giorgio Amendola, allora sottosegretario alla presidenza del consiglio. Amendola, per certi versi, riuniva nella sua biografia alcune delle caratteristiche che avevano definito il percorso dell'antifascismo italiano: il padre Giovanni era stato, prima, uno degli esponenti più significativi del liberalismo giolittiano e, poi, uno dei più risoluti oppositori del nascente fascismo, tanto da morire in seguito alle bastonature ricevute da un manipolo di camicie nere, mentre lui, come molti giovani della sua generazione, aveva individuato nella militanza nel partito comunista l'unica effettiva possibilità di continuare a combattere il regime, ritenendo le scelte degli altri ambienti antifascisti, soprattutto di quelli popolari e liberali, inefficaci. Amendola, che, per altro, sarà uno dei dirigenti della Resistenza italiana che più di tutti avrà ben presente i limiti intrinseci dell'antifascismo italiano, come testimoniano le sue Lettere da Milano e la laterziana Intervista sull'antifascismo degli anni settanta.
Due erano le ragioni che sostenevano questa scelta. La prima, più contingente, mirava a sottolineare il ruolo attivo svolto dagli italiani, attraverso la loro Resistenza, nella liberazione del territorio nazionale in vista dell'imminente discussione del trattato di pace, ai cui tavoli l'Italia si presentava non solo dalla parte degli sconfitti, ma di coloro i quali avevano sostenuto il progetto egemonico hitleriano, con l'aggravante, nemmeno oggi del tutto dimenticata nelle cancellerie europee, di essere entrata in guerra quando ormai il resto d'Europa sembrava in ginocchio. La seconda, di portata strategica, mirava a identificare nelle forze che avevano diretto, almeno a partire dall'estate del 1944, la Resistenza gli unici soggetti politici in grado di ricostruire il tessuto nazionale e di dare forma, attraverso la reciproca coesistenza, a un quadro istituzionale democratico, tanto più che le forze intorno a cui si era mantenuta la continuità istituzionale, su tutte la monarchia e l'esercito, apparivano completamente screditate.
Il primo obiettivo si rivelò sostanzialmente illusorio. Nel trattato di pace l'Italia, infatti, non ottenne significativi riconoscimenti che la affrancassero dalla posizione di partenza. Il secondo, invece, ha permesso il radicamento del sistema politico che nel corso del primo cinquantennio repubblicano ha proceduto alla costruzione della nostra democrazia, anche se la rottura dell'alleanza tra le potenze che avevano sconfitto la Germania e il conseguente sviluppo delle dinamiche della guerra fredda renderanno problematico in tutta Europa, e in Italia in particolare, integrare nel discorso pubblico la legittimazione morale della Resistenza con la legittimazione politica dell'antifascismo, inteso come la somma delle forze che si erano opposte al fascismo.
Questa difficoltà strutturale si è acuita in Italia con il crollo del sistema politico che ormai sempre più correntemente viene definito della prima repubblica. Non solo, infatti, nel giro di qualche mese si sono sbriciolati i partiti che lo componevano, ma nel sistema politico che è emerso da quel crollo si sono ritrovati a coesistere forze politiche che si richiamano al sistema precedente, ma riproponendo al loro interno le fratture che lo avevano caratterizzato, e forze politiche che traggono la loro ragion d'essere dal suo superamento, alcune delle quali si richiamano esplicitamente alle forze che ne avevano sempre contestato la legittimità, con legami, più complessi si quanto abitualmente si ritiene, con l'esperienza del regime fascista e, piuttosto incomprensibilmente, con aspetti della vicenda della Repubblica sociale. È la dialettica in cui siamo imprigionati dalla manifestazione di Milano del 1994, promossa dal Manifesto e da cui non riusciamo a venire fuori.
Ma la Resistenza e i suoi valori ho paura che centrino poco. Piuttosto credo centrino i processi di legittimazione delle forze politiche. Forse non sarebbe irrilevante per risolvere i nostri problemi che si tornasse a studiare - sì a studiare: quanta ignoranza dei fatti e dei processi c'è, ahimè, anche tra chi infarcisce i suoi discorsi a ogni piè sospinto con la lotta antifascista e la nuova resistenza, meglio in questo caso mantenere la minuscola - e a riflettere su cosa è stata davvero la Resistenza europea, su come abbia costruito sull'opposizione frontale al totalitarismo un modo di concepire la convivenza tra gli uomini che avesse al centro la dignità umana, la cui assoluta rilevanza va ben oltre le forme istituzionali in cui si è risolta nella seconda metà del Novecento. Andrebbe, infatti, sempre tenuto presente, come ha scritto Norberto Bobbio, che se per essere democratici non si può non essere antifascisti, essere antifascisti non significa di per sé essere democratici. E la democrazia è il risultato di un apprendimento continuo, in grado di confrontarsi con il mutare dei tempi storici.

FONTE:www.formazionepolitica.org
FONTE IMMAGINE:www.partecipiamo.it

domenica 18 aprile 2010

"PD, L'INCOMPIUTO"




Museo del Louvre di Parigi - NAPOLEONE BONAPARTE (INCOMPIUTO)

Alessandro Fanfoni
PD, l'incompiuto

Così come si è acceso tanto repentinamente si è spento. L’eterno ritornello del partito federale, del partito del nord, del partito dei territori, del partito dei partiti – sbucato questa volta dal logoro cilindro di un professore un po’ smemorato – ha disegnato la medesima traiettoria di sempre: appena lanciato, è immediatamente precipitato. La realtà è che il Pd del nord non lo vuole fare nessuno. E tutto deve continuare ad essere saldamente e fallimentarmente nelle mani della stessa classe dirigente.
Non vogliamo qui stracciarci le vesti per il trattamento ricevuto dalla proposta Prodi. Il professore, infatti, arriva in ritardo e in maniera estemporanea su un tema – la questione settentrionale declinata secondo una variante progressista - che, senza voler gareggiare, il presidente e fondatore del CFP, Massimo Cacciari vox clamantis in deserto, così come il direttore, Nicola Pasini, conoscono e hanno praticato molto bene e molto prima, quando i segnali di "cedimento strutturale" al nord erano già evidenti e forse arginabili.
Non vogliamo nemmeno sostenere dogmaticamente che la soluzione federale sia la panacea di tutti i mali. Soprattutto perché una cura buona quindici o dieci anni fa, non è detto che goda della stessa credibilità e efficacia oggi che la malattia – un misto di rigidità, autoreferenzialità, autoconservazione di una gruppo dirigente, autoconsolazione culturale - così lungamente trascurata si è cronicizzata.
Certo, il partito fondato su un patto federale andava, andrebbe nella giusta direzione, almeno formalmente. Ma poi bisogna metterci le persone e i contenuti e non tutto quello che è locale è bello. Insomma: direzione giusta, intensità insufficiente, tempo ormai scaduto. In un certo senso allora, si potrebbe dire che la proposta Prodi abbia ricevuto il trattamento che meritava.
Ma il problema non è il professore (problema già risolto da tempo). La questione resta questo strano incompiuto, un partito il cui paradosso è presto detto: tanto grande al punto da non poter essere considerato marginale, ma talmente appiattito su "una storia" e sul destino di una classe dirigente in declino da risultare impermeabile a ogni novità di sostanza. Ingombrante e irreformabile.
Come aggirare l’ostacolo dunque? Da dentro o da fuori? Da dentro sembra una contraddizione in termini. Da fuori, sembra un lungo viaggio, un'impresa "per chi non ha fretta" (Pasini).
Anche se le cose dovessero precipitare (un'improvvisa e autolesionistica rottura della maggioranza?), una variabile esogena quale lo show-down tra Berlusconi e Fini saprebbe produrre uno shock sufficiente per innescare un mutamento virtuoso della compagine democratica o non rafforzerebbe invece la convinzione che la strategia del sit&wait sia quella vincente, rinviando così ancora una volta i conti con la realtà?
Le fibrillazioni nella maggioranza, la sempre più insostenibile incrinatura dell'alleanza tra Berlusconi e Fini esasperata dal crescente cuneo leghista è l'altra faccia dell'attendismo dell'opposizione: insieme, restituiscono il ritratto di un sistema politico al bivio tra la radicale affermazione delle attuali identità e dei conseguenti rapporti di forza, e il rimescolamento in forma inedita delle stesse.

FONTE:www.formazionepolitica.org

martedì 6 aprile 2010

.........E ADESSO, CARO BEPPE, DIMMI " LA RICETTA"!


Giuseppe Fioroni, per me un coservatorista "doc",approdato al PD travestito da riformista, che non ha niente a che vedere con ciò che è stato, ne tanto meno con ciò che potrebbe essere.......per saperne di più: http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Fioroni
I suoi interventi sono tutti condivisibili,direi "populisti", carenti spesso di soluzioni e di proposte.... E dunque, adesso, con questi risultati elettorali,con questo PD, caro Beppe, dimmi "la ricetta": quali sono le azioni concrete che occorrono per far rialzare la testa al popolo del centro sinistra?
Buona lettura.A presto. Silvia


"No a un Pd che si guarda l'ombelico ma neanche uno che continua a coprirsi gli occhi"

di Giuseppe Fioroni



“Tornare a parlare alla gente, con il linguaggio della gente. Sdoganare l'immagine sinistra-comunismo che Berlusconi ha cucito addosso al Pd, anche prendendo pubblicamente le distanze dal concetto di comunismo e sostituendolo con i concetti di bene comune ma anche meritocrazia. Fornire a tutti gli strumenti per partire alla pari in un sistema che premia i più bravi ma fornisce un paracadute pure agli altri. Dare l'esempio, essere inattaccabili sul piano personale. E dire anche “Grillo non ci ha rubato voti: li abbiamo persi noi”. Ecco, questo vorrei sentirmi dire oggi da voi”.

Ho chiesto a un giovane amico, nostro non-più o forse non-mai elettore, di spiegarmi meglio cosa avesse voluto dirci stavolta con il suo preferire altro. Mi ha mandato quello che considero un mini programma e l’implicita conferma di ciò di cui ero già convinto e cioè che, il giorno dopo i risultati elettorali, più che interpretazioni e contorsionismi numerici, a noi viene chiesto di fare prima delle serie riflessioni e poi delle conseguenti, concrete proposte.

Perché questo è il punto: chiederci come mai non siamo riusciti a intercettare il partito degli scontenti, il primo partito d’Italia. Perché, bene che vada, siamo stati la quinta scelta? Perché se sbaglia e delude Berlusconi paghiamo il conto pure noi? E’ questo il prezzo da pagare a questo bipolarismo, probabilmente. Ma non basta.

Il partito degli scontenti ha preferito prima di tutto sfilarsi dalla contesa, restarsene a casa. Poi ha votato la Lega, che è insieme un partito di maggioranza e di opposizione e che certifica la frattura e la distanza che ormai separa Pdl e leghisti, consegnandoci anche una nuova geografia elettorale nella quale il Pdl si confina al Sud e lascia in mano a Bossi tutto il resto. Gli scontenti poi hanno preferito Grillo e l’Italia dei Valori: solo in quinta battuta i fuggitivi da Berlusconi sono approdati al Pd: perché non ci votano? Credo che nessuna analisi elettorale possa e debba prescindere da questa domanda, né serve ostinarsi a interpretare e tirare i voti di qua e di là: gli italiani sanno leggere i numeri fondamentali, il numero di presidenti eletti, i voti assoluti in meno e il divario tra centrodestra e centrosinistra. Il resto rischia di essere solo una inutile e dannosa seduta auto-consolatoria.

Con le interpretazioni, temo, non riusciremo a strappare un solo voto in più. Credo invece che sia ora di mettere in campo, e subito, una proposta e un progetto credibili per il governo del Paese perché solo così, tra l’altro, recupereremo credibilità e costruiremo alleanze che non siano ammucchiate.

Allo stesso tempo credo si debba perdere l’ossessione di inseguire il primo stormir di fronde o di farci tirare per la giacca da Grillo e da Di Pietro perché non si governa cercando la competizione sulle nicchie elettorali ma riallacciando un rapporto forte e serio con la società, con le forze sociali e produttive, i sindacati.

Occorre ricostruire un blocco sociale del paese che guardi al Pd come il perno di un’alternativa in grado di tenere unito e insieme tutto il Paese e non singoli segmenti spesso portatori di una conservazione rancorosa.

Forse non ci votano, o non ci votano più, semplicemente perché non sanno, votando noi, cosa votano, quale idea di società, di Paese, di scuola, di sanità, di welfare. Ciò che manca non è il contenitore, è il contenuto. E il contenuto deve essere la capacità di incarnare innovazione e modernizzazione del Paese dando risposte credibili a quella ricerca di un bene comune nel quale si sappiano tenere insieme le aspettative dei commercianti e degli artigiani, dei cooperatori e delle imprese con quelle dei lavoratori. Non possiamo più essere percepiti, e quindi definiti, solo in base ai No che diciamo (e sia chiaro, servono anche quelli) ma piuttosto per le risposte che siamo capaci o meno di mettere in campo.

Su questo, in politica, non basta fare le cose giuste ma è indispensabile farle anche al momento giusto perché parlare di cose giuste nel momento sbagliato a volte è dannoso come non parlarne per niente.

Cominciamo, poi, a usare parole comprensibili a tutti e concrete. Riforme? Certo. Ma dobbiamo pretendere che quelle da cui partire siano quelle sociali, mettendo mano al sistema ormai inadeguato degli assegni familiari, alle inesistenti politiche per la famiglia sbandierate dal governo, alla sostituzione della parola “deroga” con quella di “diritto” per gli ammortizzatori sociali (il paracadute per chi non ce la fa da solo) come avviene negli altri Paesi europei, a riformare un fisco che preveda criteri diversi per le famiglie con figli, per quelle monoreddito a 1.300 euro al mese, per quelle di pensionati a 770 euro al mese avendo la saggezza, come Pd, di lavorare perché tutto questo si realizzi senza stare a perderci in dibattiti sociologici su cosa sia la famiglia, perché sappiamo che mentre noi stiamo lì a dibattere durante i convegni, quelle non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese.

E un’altra cosa dobbiamo fare: avere il coraggio di chiamare “emergenza nazionale” la disoccupazione dei nostri figli, che ormai tocca il 28,2%, figli che pagano non loro colpe ma quelle di generazioni di padri che hanno lasciato sulle loro spalle un debito devastante e politiche inadeguate, mettendogli una pietra al collo invece di aiutarli a prendere il volo verso un’autonomia basata sulle proprie capacità. Perché questo è un Paese che non sa offrire più opportunità a tutti ma solo raccomandazioni a pochi.

E perché le pari opportunità non siano solo un vago auspicio ma si traducano in strumenti concreti, è necessario mettere mano al sistema bloccato di democrazia economica, cioè l’accesso al credito. La crisi della piccola e media impresa, non è un mistero, oggi è dovuta in gran parte alla crisi di cassa e di liquidità, anche per colpa di enti pubblici e privati che non pagano più o non pagano in tempo. Serve più competizione nel sistema bancario, far sì che la Cassa depositi e prestiti con i 15 mila sportelli postali, diventi una vera e propria banca che entra nel mercato del credito perché chi oggi decide a chi dare soldi e a chi non darli decide della vita e della morte delle imprese e spesso, purtroppo, anche delle persone, come dimostrano i gesti disperati di tanti imprenditori.

Pari opportunità non saranno mai possibili, poi, senza scuola, Università e ricerca degne di questo nome e degne di un Paese civile e industrializzato. La strada non è quella di operare per continui tagli, riportando la situazione a prima del ventennio, con un sistema di avviamento professionale scadente per tanti e una scuola di eccellenza per pochi.

Al ministro Tremonti, che non sa mai dove prendere le risorse, facciamo presente che c’è mezza Italia che dichiara un reddito di 15 mila euro: magari dare un’occhiata lì, invece di mandare in bancarotta gli enti locali, scuola e Università?

Nessuno nega l’importanza della riforma della giustizia ma di fronte a quella della giustizia sociale, dentro a una crisi drammatica come quella che stiamo vivendo, non c’è partita. Perché, diversamente, il sistema elettorale e il presidenzialismo rischiano di essere le brioches promesse a chi non ha neanche il pane.

Sfidiamoli sulle riforme sociali, smettiamola di stare al loro gioco del ping pong su chi le riforme le vuole di più: presentiamo nostre proposte assumendole anche come base per l’alternativa di governo e impediamogli soprattutto di cucirsi istituzioni su misura.

Questo, credo, è il Pd che può ricominciare a farsi capire dalle persone. Certo non un Pd che si guarda l’ombelico: ma neanche uno che ha deciso di smettere proprio di guardare coprendosi gli occhi.
" Il primo compito del Partito Democratico deve essere quello di restituire credibilità alla politica". Rosy Bindi