domenica 28 settembre 2008

DEMOCRATICI E CASO SCUOLA

Il riformismo bocciato

di Angelo Panebianco

Walter Veltroni, nell'eccellente discorso del Lingotto (27 giugno 2007) con cui ufficializzò la sua candidatura a leader del Partito democratico, e nei discorsi dei mesi successivi, mise a punto la carta di identità di una moderna sinistra riformista proponendola al neonato partito. Veltroni batteva allora con vigore su un tasto: il Partito democratico avrebbe sviluppato una reale capacità di intercettare le aspirazioni degli elettori e dei ceti sociali più dinamici e orientati alla modernizzazione del Paese, solo se avesse abbandonato, su un ampio arco di problemi, le posizioni conservatrici che avevano in passato caratterizzato la sinistra. La visione articolata da Veltroni appariva allora forte ed efficace ma restavano sospesi due interrogativi. Sarebbe egli riuscito a imporre un così radicale cambiamento di prospettiva a tanti militanti fino ad allora di diverso orientamento? Sarebbe riuscito, soprattutto, a ottenere un riposizionamento e un rinnovamento, culturale e di proposte, di quel sindacato (la Cgil in primo luogo) il cui appoggio è necessario a un partito di sinistra riformista? Non solo quel riposizionamento del sindacato non c'è stato ma è lo stesso Partito democratico a reagire oggi alle difficoltà suscitate dalla sconfitta ritornando sui propri passi, abbandonando la strada del rinnovamento, ridando spazio a quelle posizioni conservatrici che il Veltroni del Lingotto sembrava determinato a combattere.

Il miglior test per sondare lo «spessore riformista » di un partito italiano consiste nel valutare le posizioni che esso assume sulla scuola. La scuola pubblica è come l'Alitalia: rovinata da decenni di management interessato a garantirsi clientele e da un sindacalismo cui si è consentito di cogestirla con gli scadenti risultati (in tema di preparazione dei ragazzi) che i confronti internazionali ci assegnano. Solo che nel caso della scuola pubblica non ci sono cordate di imprenditori o compagnie straniere cui affidarla. Proprio nel caso della scuola il Partito democratico sta fallendo il test sullo spessore riformista. Perché ha scelto ancora una volta (come faceva il Pci/Pds/Ds) di accodarsi acriticamente alle posizioni della Cgil, di un sindacato che, in concorso con altri, porta pesanti responsabilità per lo stato disastrato in cui versa la scuola, un sindacato interessato solo alla difesa dello status quo (come è successo, del resto, nel caso di Alitalia fin quando ha potuto). Prendiamo la questione del ritorno al maestro unico deciso dal ministro Gelmini. Sembra diventato, per la sinistra, sindacale e non, il simbolo del «vento controriformista» che soffierebbe oggi sulla scuola. Al punto che, come è accaduto a Bologna, si arriva persino a far sfilare i bambini contro il ministro (nel solco di una tradizione italiana, antica e spiacevole, di uso dei bimbi per fini politici). Si fa finta di dimenticare che la riforma della scuola elementare del 1990, quella che abolì il maestro unico, fu un classico prodotto del consociativismo politico-sindacale che caratterizzava tanti aspetti della vita repubblicana. Nel caso della scuola funzionava allora un'alleanza di fatto fra Dc, Pci e sindacati. L'abolizione del maestro unico fu dettata esclusivamente da ragioni sindacali.

E' antipatico citarsi ma alla vigilia dell'approvazione della legge scrissi su questo giornale: «Nonostante le nobili e altisonanti parole con cui l'operazione viene giustificata la ratio è una soltanto: bloccare qualsiasi ipotesi di ridimensionamento del personale scolastico come conseguenza del calo demografico e anzi porre le premesse per nuove, massicce, assunzioni di maestri. Non a caso sono proprio i sindacati i più entusiasti sostenitori della riforma (…) Questa classe politica ha sempre trattato così la scuola, incurante delle esigenze didattiche ma attentissima a quelle sindacali» (Corriere della Sera, 22 novembre 1989). Veltroni e il Partito democratico dovrebbero spiegarsi: è quella cosa lì che, ancora una volta, vogliono difendere? Per il futuro vedremo ma la verità è che, fino a questo momento, il ministro Gelmini ha fatto pochi errori. I provvedimenti fino ad ora adottati sono di buon senso e per lo più tesi ad arrestare il degrado della scuola. Ma, anziché riconoscerlo e dare il proprio contributo di idee e di proposte (come dovrebbe fare un vero partito riformista, ancorché all'opposizione), il Partito democratico preferisce ripercorrere l'antica strada: quella della «mobilitazione», della sponsorizzazione dei sindacati, anche quando questi difendono posizioni indifendibili.

Non è casuale che proprio sulla scuola la Cgil si appresti a fare lo «sciopero generale ». Difende un potere di cogestione che viene da lontano e che ha contribuito a danneggiare assai la scuola (dove la quasi totalità delle risorse se ne va in stipendi a insegnanti troppo numerosi, mal pagati e mal selezionati). Un potere di cogestione che fino ad oggi ha sempre potuto contare sulla complicità di governi e opposizioni. Non è plausibile che nel Partito democratico siano tutti felici di queste scelte (che danno un brutto colpo alla credibilità del Pd come partito riformista). E infatti non è così. Ricordo un intervento critico di Claudia Mancina ( Il Riformista) sulle attuali posizioni del Pd sulla scuola. O le parole per nulla critiche nei confronti della Gelmini pronunciate (a proposito della polemica sull' impreparazione di certi insegnanti meridionali) da uno che di scuola se ne intende: l'ex ministro dell'Istruzione Luigi Berlinguer. Sarebbe bene che anche molti altri, dentro il Partito democratico, venissero allo scoperto. Ha senso continuare a trattare la scuola pubblica come un «dominio riservato» del sindacalismo?

Da: Il Corriere della Sera del 28 settembre 2008

INAUGURAZIONE SEDE DEL COMITATO CITTADINO ANTIFASCISTA DI ORVIETO

COMITATO CITTADINO ANTIFASCISTA DI ORVIETO


INAUGURAZIONE CENTRO DI DOCUMENTAZIONE POPOLARE A ORVIETO


Un generale clima di allarme sociale dilaga per l´Italia, indistintamente da Nord a Sud. Numerosi negli ultimi mesi sono gli episodi a sfondo razzista, anche gravi, non ultimo l´uccisione di Abba, il ragazzo originario del Burkina Faso massacrato a Milano per aver rubato un pacco di biscotti in un bar.

L´ultimo di una lunga serie, che vede presi di mira migranti e rom indicati come la principale minaccia per la sicurezza dei cittadini.

I dati recentemente forniti dal Ministro Maroni durante l´ultimo Consiglio dei Ministri, nell´ambito del quale si è nuovamente discusso del pacchetto sicurezza, non fanno altro che incrementare il senso generale di insicurezza e paura diffondendo un´immagine artefatta e poco rispondente alla realtà.

I clandestini vengono individuati come nemici da tenere sotto controllo costruendo 10 nuovi Cpt, vengono fissate regole ancora più rigide per i richiedenti asilo, e un´ulteriore stretta viene data anche ai ricongiungimenti familiari.

A questo si aggiunge poi la pratica della "schedatura etnica" per i rom, di fronte alla quale voci di biasimo si sono levate anche dall´Europa.

Si preferisce la strada della criminalizzazione a discapito della promozione di politiche di integrazione sociale.

Di fronte a questo la società civile non può rimanere in silenzio.

Di fronte a proclami razzisti, volti a calpestare diritti umani fondamentali, di fronte ad affermazioni tese a riabilitare "un fascismo buono", l´unica arma da opporre è data dalla conoscenza: conoscenza storica di un passato recente e analisi dei fenomeni attuali.



Per questo, il Comitato Cittadino Antifascista di Orvieto



È lieto di invitarvi all´inaugurazione del



Centro di documentazione popolare

in via Magalotti 20 ( parallela via della Cava)

Domenica 28 settembre

a partire dalle ore 18.00



Luogo dedito alla raccolta e alla libera circolazione di materiale documentario in diversi formati ( cartaceo, audio e video) afferente alla storia locale ( e nazionale), all´attualità, a tematiche sociali di largo interesse e su cui grava, il più delle volte, una cattiva informazione.

Il Centro di documentazione, oltre ad essere accessibile a tutti è aperto ad ogni tipo di contributo.

Ma l´intento è soprattutto far si che, a circolare liberamente, siano le persone... senza distinzione alcuna di razza, sesso, religione, nazionalità e cultura, con il loro bagaglio di idee e di esperienze, da offrire e condividere con gli altri.

Perché la conoscenza è la sola arma in grado di abbattere ogni barriera!



PER INFO www.antifascistiorvietani.org

domenica 21 settembre 2008

L'ho trovata! "relazione di Trappolino" del 12/09/2008

Ho trovato sul blog "Trappolino's" la relazione presentata al coordinamento comunale di Orvieto del 12/09/2008. Una bel documento che condivido pienamente, mi auguro che riesca in fretta a concretizzare gli ambiziosi, ma indispensabili programmi in esso contenuti, nel migliore dei modi, con l'aiuto di tutto il partito.

Non aggiungo altro, vi aspetta una lunga ed attenta lettura.

A presto. Silvia

Relazione di C.E. Trappolino al coordinamento comunale di Orvieto del 12 settembre 2008

Riprendiamo il lavoro dopo la pausa estiva, tentando di riallacciare il filo del discorso a partire dal punto in cui c’eravamo lasciati: l’ultimo coordinamento di luglio e la “Festa democratica”. Una riflessione – prima di entrare nel merito delle questioni all’ordine del giorno di questa sera – sulla nostra festa, su quello che è stato un bellissimo appuntamento di popolo che, a dispetto degli scetticismi iniziali, ha saputo offrire eventi di grande qualità politica e culturale.

Al Parco Urbano del Paglia ho colto non solo la tenace solidità di una tradizione, quella delle “Feste dell’Unità”, ma anche la voglia di stare insieme e di mescolare storie, sensibilità e idee differenti (avremo modo di dedicare alla festa una riflessione più approfondita in una successiva occasione dedicata al bilancio della festa e alla futura programmazione). Se il Partito Democratico può legittimante porsi come protagonista “sociale” della vita orvietana lo si deve anche a questa capacità di costruire eventi di popolo. Eventi nei quali troviamo la nostra ragion d’essere di partito di massa in un vitale crogiolo di persone e di sentimenti, nel lavoro volontario e appassionato di donne e uomini, nell’energia “originale” dei giovani.

Ci attendono tempi di duro lavoro politico e organizzativo poiché stiamo dentro una sfida importante e che, per diversi aspetti, deciderà il nostro profilo di partito.

Tentiamo allora una prima riflessione sullo stato del nostro Paese, su quell’immagine dell’Italia contesa tra realismo e propaganda, speranze e paure.

E ci chiediamo se dobbiamo dar retta alla Commissione Europea, secondo cui l’Italia sarebbe già nel bel mezzo di una stagnazione oppure convenire con Silvio Berlusconi che dice di essere il presidente del Consiglio “di un Paese molto solido con un alto livello di vita e di benessere”?

Quale interpretazione dare ai dati, questi sì inclini al crudo realismo, che mostrano una crescita tendenziale del PIL del II trimestre che oscilla tra lo 0 e il -0,1%? E davvero il PIL dell’anno salirà, come prevede la Commissione, di un minuscolo 0,1%? Cosa dobbiamo aspettarci dai dati Istat di oggi sulla caduta delle produzione industriale di luglio e che segnano, sul piano tendenziale, una flessione del 3,2%?

C’è anche chi vede più scuro, e sono coloro che, scorgendo nel combinato disposto di inflazione in ascesa ed economie ferme, prevedono un periodo di stagflazione che riguarderebbe gran parte dell’Europa occidentale.

Siamo – ha detto Mario Draghi - da più di un anno nella più difficile crisi finanziaria dei nostri tempi”.

Non stiamo parlando di roba astratta, di teorie che alla fine poco c’entrano con la vita delle persone.

Da quando la globalizzazione - questa parola così familiare e così arcana – è entrata nella nostra quotidianità, c’è quasi la sensazione di abitare un mondo più piccolo, nel quale l’interdipendenza delle cose ci impedisce l’indifferenza, lasciandoci invece il sospetto che nulla, ormai, ci è veramente estraneo.

È di questi giorni la notizia della nazionalizzazione, da parte del governo statunitense, delle due maggiori società di mutui (Fannie Mae e Freddie Mac). Decisione motivata dal fatto che il certo fallimento di questi colossi avrebbe messo a repentaglio l’intero sistema finanziario statunitense. Com’ è evidente, anche nella patria del neoliberismo operazioni tipicamente stataliste e, potremmo dire, vetero-socialiste possono sempre tornare utili – soprattutto quando ad essere socializzate sono le perdite.

Negli Stati Uniti si nazionalizza alimentando quindi un debito pubblico che non solo è già abbondantemente fuori misura ma che è anche prevalentemente nelle mani dei cinesi. Una lunga deriva accompagna lo spostamento del centro del pianeta dall’Occidente verso Oriente, dove oltre due miliardi di persone stanno premendo per entrare nel mondo dei consumi. Un mercato così grande fa saltare tutti gli equilibri conosciuti, imponendo la propria sintassi non solo sulle relazioni geopolitiche, ma anche sul costo dei beni di prima necessità (e non a caso, qualcuno, divertendosi ad immaginare il ritorno ad un Italia autarchica, ha scoperto quanto siamo dipendenti da altri, intrinsecamente parte del campo relazionale articolato dagli scambi del commercio internazionale).

Rispetto a questo grande movimento di dislocazione di nuove forze e vecchie presenze, l’Italia di Berlusconi affronta questa perigliosa traversata nel peggiore dei modi possibili ma avendo bene in testa un progetto di Paese. Mentre il mondo politico del centrodestra si applica nell’ennesima celebrazione del ventennio fascista, il governo tira dritto in una scientifica opera di promozione dei soggetti e dei ceti sociali a lui più prossimi. Con la scelta di mantenere l’inflazione programmata all’1,7% nel 2008 e all’1,5% per il 2009 - obiettivi del tutto impossibili da raggiungere – si persegue un progetto classista di ridistribuzione regressiva dei redditi. Se l’esecutivo volesse mantenere inalterata quella previsione, i redditi dipendenti registrerebbero in due anni una perdita secca di 1000 euro. E non a caso, lo smantellamento dei provvedimenti anti-evasione fiscale costituisce, in sostanza, “una misura di auto-riduzione selettiva delle imposte concentrata su alcune categorie di contribuenti (che, visto l’andamento del gettito IVA di luglio, hanno prontamente cominciato a beneficiarne)”. Nemmeno troppo velatamente, si comincia a scoprire un disegno teso a colpire i redditi fissi di lavoratori dipendenti, partite iva finte, pensionati. I dati sulle vendite al dettaglio (a giugno si è registrato un -3,4% rispetto al 2007) preannunciano con sin troppa eloquenza quello che dovremmo aspettarci nei prossimi mesi.

Dentro la testa del Governo c’è davvero una precisa idea di Paese rispetto alla quale non sono estranee nemmeno le trovate mediatiche di Alemanno sul ventennio e di La Russa sulla Costituzione.

E bene ha fatto il Presidente Giorgio Napolitano a mettere in campo aperto la questione sulla piena identificazione nei principi e nei valori della costituzione, parlando della necessità di un forte moto di patriottismo costituzionale.

In prospettiva, la politica dei tagli promossa nel DPEF avrà effetti laceranti.

Quasi un terzo delle minori spese riguarda gli enti territoriali. Sono tagli rilevantissimi che, sommati al minor gettito derivante dall’abolizione dell’Ici sulla prima casa (come noto, solo parzialmente rimborsato ai comuni) produrranno ineluttabili conseguenze, non solo e non tanto sugli sprechi e le inefficienze, ma anche sui servizi a garanzia di diritti sociali (dalle mense nelle scuole, agli asili nido, dai trasporti pubblici locali all’assistenza agli anziani non autosufficienti) e civili.

Anche per quel che concerne la sanità, il piano del governo prevede un contributo statale alla soppressione dei ticket del tutto insufficiente a coprire la totalità della previsione. Morale: o le regioni trovano le risorse necessarie oppure saranno introdotte forme di compartecipazione dei cittadini.

Ma c’è dell’altro: i tagli alla scuola (-130mila lavoratori tra docenti e personale non docente), la reintroduzione, di fatto, di norme ispirate ad una forte deregolazione del rapporto di lavoro (cancellazione della legge 188 e degli “indici di congruità” che assicuravano strumenti efficaci di lotta al lavoro nero e sommerso), le già ricordate “contromisure” che allentano il contrasto all’evasione ed elusione fiscale e al lavoro nero.

Quel che è peggio, mancano le risorse per lo sviluppo. Industria 2015 è stata svuotata e, viste le cifre nel DPEF, è difficile davvero comprendere in virtù di quale miracolo l’Italia potrà alla fine riattivare senza traumi un nuovo e virtuoso ciclo di crescita.

Questi i contorni di quell’idea di società del Governo Berlusconi non solo ingiusta e classista, ma anche incapace di dare risposte ad un ciclo economico che meriterebbe ben altre misure finalizzate alla crescita e alla ridistribuzione (ad esempio, tramite la riduzione delle imposte sui salari e pensioni, innalzando le detrazioni fiscali concesse alle famiglie, rivedendo i tagli alla spesa in conto capitale e reintroducendo un credito di imposta per gli investimenti delle imprese nel mezzogiorno).

Sul decisivo tema del federalismo, con l’approvazione della bozza “Calderoli” in Consiglio dei Ministri si stanno determinando le condizioni, davvero pericolose, per quella che Stefano Fassina hanno definito una specie di “eutanasia dello Stato centrale” in materia di promozione e garanzia dei diritti civili e sociali sanciti dalla Costituzione. Si ripropone una interpretazione estrema del principio di territorialità delle imposte vale a dire: le imposte appartengono soltanto al territorio nel quale si raccolgono. La comunità più larga di cui si è parte per storia, cultura, istituzioni ed economia non ha titoli.

La radicalizzazione del principio di territorialità – ha scritto Fassina - ha una inevitabile conseguenza: le risorse necessarie a completare il finanziamento delle prestazioni fondamentali (scuola, sanità, assistenza e in parte trasporti) nei territori svantaggiati sono nelle esclusiva disponibilità delle Regioni più ricche, non dello stato centrale così come previsto nella proposta della Conferenza delle Regioni. La perequazione è orizzontale: dalle regioni più ricche alle regioni più povere, senza l’intervento di Roma”.

Senza entrare più nel merito di una riforma destinata a mutare l’infrastruttura sociale, economica e civile del nostro Paese, mi piace citare uno scritto di Giorgio Ruffolo di qualche giorno fa. “Mai come oggi – scrive Ruffolo – l’Italia è apparsa così fragile. E la sua unità così in pericolo. Il pericolo non è un nuovo fascismo. È la decomposizione nazionale e sociale”. Poi aggiunge: “Compito della Sinistra avrebbe potuto essere quello di ricomporre l’unità nazionale in un grande progetto per lo sviluppo economico, l’equilibrio ambientale e il benessere sociale. E di fondare su questo il grande disegno federativo unitario…”.

Dopo la stagione delle feste e l’appuntamento nazionale di Firenze il Partito Democratico ha impresso una forte accelerazione all’iniziativa politica.

In un crescendo molto intenso, le feste hanno attratto la voglia di politica e ridato voce a quell’Italia democratica nient’affatto disposta ad accettare passivamente un berlusconismo della peggior specie.

Dinanzi a noi abbiamo la manifestazione del 25 ottobre a conclusione dell’iniziativa nazionale “Salva l’Italia”. In preparazione di ciò, sono in programma, a livello nazionale, tre appuntamenti che impegneranno il partito nei territori sin dalle prossime settimane. Li riassumo brevemente.

Il 26 e il 27 settembre verrà organizzata una campagna di volantinaggio capillare davanti alle scuole e le università sulle tematiche inerenti le scelte del Governo sulla scuola. Lunedì 29 seguirà, in ogni comune capoluogo, una iniziativa pubblica sui precedenti temi:

Il 3 e il 4 ottobre la campagna di volantinaggio si svolgerà questa volta davanti ai supermercati sulle questioni relative al carovita e alle non-scelte del Governo. Lunedì 6 ottobre si prevede di realizzare una iniziativa pubblica.

Il 10 e l’11 ottobre la campagna di volantinaggio si svolgerà dinanzi alle fabbriche e a tutti i luoghi di lavoro e avrà per oggetto i temi dei salari, dell’occupazione e dello sviluppo. Il 13 ottobre si prevede di realizzare una iniziativa pubblica.

Questa mobilitazione serve per dare un rinnovato slancio all’azione del Partito Democratico sui territori. A Orvieto noi faremo la nostra parte e sin dai prossimi giorni, assieme allo staff e all’organizzazione, metteremo in cantiere il nostro specifico contributo.

Venendo alle questioni del nostro territorio e della nostra città, questo coordinamento comunale prosegue un lavoro con l’obiettivo di consolidare la nostra capacità di governo e di progettazione politica.

Allora: cosa faremo, noi, democratici di Orvieto?

Intanto, dobbiamo continuare a costruire il Partito Democratico. Lo dico nella convinzione di non poter scantonare da questa responsabilità. La nascita del Partito Democratico non è stata una “singolarità” storica compiuta la quale, tutto ritorna quasi come prima, con le solite liturgie e cerimoniali, scambiando quell’atto fondativo per una trovata mediatica.

Le primarie del 14 ottobre segnano una discontinuità nelle vicende politiche nazionali e locali. Discontinuità che per noi è un fatto “costituente”. E se vogliamo essere un partito nuovo, un partito della modernizzazione non dobbiamo avere paura dell’innovazione, di nuove pratiche, di cambiare passo e stile.

Ci attendono appuntamenti importanti. E per affrontarli abbiamo bisogno di un partito radicato, di un partito vero. Iniziamo allora dal tesseramento.

Stiamo entrando in un clima pre-elettorale. Lo rivela una certa mobilitazione dell’opinione pubblica, una evidente propensione alla dichiarazione, all’intervento, alla politicizzazione di fenomeni altrimenti inosservati. È positivo che la città si interroghi, partecipi, domandi e chieda.

Orvieto è una città culturalmente vivace ed è bene che esibisca questo suo carattere nelle occasioni importanti. Il Partito Democratico non è estraneo a questa temperie, a questo nuovo clima. Credo che proprio la nascita del PD abbia in parte contribuito a liberare spazi in precedenza coartati. Non crediamo però di essere gli artefici di tutto questo. La società, anche quella orvietana, è cambiata; e sta cambiando anche il rapporto con la politica.

Ci troviamo dinanzi ad una cittadinanza sempre più competente, informata, consapevole, differenziata. Aumentano i flussi di comunicazione, le letture della realtà, nuovi bisogni anche politici e culturali. È questo il contesto all’interno del quale dobbiamo porci e dobbiamo esercitare la nostra capacità di governo e di governance.

All’aumento della differenziazione sociale (che è sintomo di modernità) corrisponde, sul piano dei poteri, una sempre più evidente “poliarchia”. Sto parlando delle forze sociali, delle organizzazioni di categoria, delle autonomie funzionali. Una crescente complessità difficilmente imbrigliabile dalle vecchie pratiche consensualistiche.

Come parla e cosa dice il Partito Democratico a questa poliarchia? Non è forse ora di intraprendere un confronto di tipo strategico in cui ciascuno si assuma la propria responsabilità al fine di realizzare un progetto condiviso?

Quanto c’è da aspettare perché finisca questo continuo gioco delle parti nel quale la somma delle dichiarazioni conduce sempre allo zero?

Qual è allora il nostro compito? Quello di dover tenere assieme la città tutta secondo una logica di comunità e di solidarietà, proponendo ai soggetti di una città ormai “multipolare” un nuovo metodo e un nuovo scenario dove far agire strumenti di governance. Lo possiamo fare noi perché questa propensione al “bene comune” è davvero un’altra radice costitutiva della nostra cultura e uno degli elementi centrali di quell’etica, storicamente determinata, delle nostre classi dirigenti.

C’è da imparare a leggere i nuovi fenomeni sociali e culturali - anche quelli che fanno rumore la notte – e restituire alla politica il tempo dei progetti, il tempo necessario ad affrontare un nuovo ciclo di immaginazione e di azione. I cinque anni dell’azione di governo possono rappresentare, tutt’al più una parte importante di un progetto più ampio. In ogni caso, non possono definire i confini del possibile e del fattibile.

Noi dobbiamo saper guardare lontano, saper immaginare il futuro senza le preoccupazioni delle scadenze elettorali. Diversi mesi fa ho parlato di “Orvieto 2020” come emblema di una politica capace di respiro. Non ho cambiato idea.

Tutto questo implica la forza di un partito coeso, capace di sintesi sulle analisi e sui progetti fondamentali, in grado di mobilitare le intelligenze e le relazioni. Implica classi dirigenti generosamente protese alla formazione di nuove classi dirigenti. Implica luoghi e strumenti capaci di far circolare le informazioni. Implica, infine, il rispetto per chi la pensa diversamente. “La società aperta è quella nella quale gli uomini hanno imparato ad assumere un atteggiamento in qualche misura critico nei confronti dei tabù e a basare le loro decisioni sull’autorità della propria intelligenza (dopo discussione)”.

Orvieto quindi deve essere una città dove vivere con entusiasmo, dove vengano premiati il merito e il talento e dove la nascita non segna per sempre il destino dei giovani. Una città dove ci si muove…

Un obiettivo, questo, ambizioso e che richiede un ritrovato entusiasmo e protagonismo dei cittadini e delle forze più dinamiche della città. Un obiettivo accompagnato dall’affermazione di chiari valori civici e politici, rispetto ai quali il Partito Democratico deve poter compiutamente rappresentare il momento più alto e più solido. A partire dal tema dell’uguaglianza e delle opportunità. Questi valori rappresentano il criterio di demarcazione tra noi e la destra e il criterio che misure l’efficacia del governo locale. Dobbiamo provare scandalo dinanzi ad una mobilità sociale sempre più ferma e sempre più foriera di crescenti iniquità.

I dati dell’IRPEF ci dicono che i redditi medi degli orvietani si trovano al terzo o quarto posto dell’Umbria. Dobbiamo rallegrarcene, ma questi dati, così come quelli dei depositi bancari, non ci dicono di come questi redditi si intersecano con la mobilità sociale, la creazione di opportunità. Compito della politica, anche nella nostra benestante città, è quello di produrre libertà e chance egualmente distribuite, a partire dalla piena valorizzazione dei talenti e di quell’inesauribile risorsa che è l’intelligenza di donne e uomini.

Il vero cambiamento politico non è quello dettato da una congiuntura sfavorevole o da un evento a noi particolarmente avverso. Non si ragiona bene con la pressione degli eventi. Noi vogliamo imprimere una svolta, un nuovo inizio proprio nel momento in cui c’è la certezza di aver lavorato bene e di aver recuperato forza e determinazione. La nostra affidabilità, competenza, capacità di progetto, la nostra stessa “vocazione maggioritaria” ci obbligano a parlare con voce nuova e con una nuova visione. Il nostro profilo ci induce all’innovazione, individuando anzitutto i soggetti e i valori con i quali vogliamo costruire questo possente movimento di idee e persone.

Fissiamo alcuni punti fermi che devono guidare l’azione politica del nostro partito nei prossimi mesi.

Anzitutto, sul tema delle alleanze il Partito Democratico di Orvieto intende contribuire all’innovazione dell’esperienza di governo di centrosinistra e ciò in ragione:

1) di una lunga tradizione politica e culturale che ha consentito alla città di Orvieto di godere di una stabilità e di conseguire una emancipazione reale dei ceti rurali e subalterni;

2) dell’esigenza di rappresentare efficacemente la complessità della società orvietana;

Tale scelta non ignora la crisi che attraversa e scuote importanti forze della sinistra, alle prese con le contraddizioni di una pratica politica non coerente con le attese di modernizzazione del Paese.

Anche nell’orvietano, quindi, il futuro del centro sinistra passa per una forte capacità di innovare le politiche, i valori, i metodi di governo e di democrazia. Oggi, una mera ripetizione di memorie d’archivio non è né auspicabile né in linea con le sfide che attendono la città.

Siamo consapevoli della complessità dei compiti che ci attendono ed è per questo che chiederemo alla classe dirigente di maggiore esperienza un atto di generosità al fine di promuovere un irrinunciabile avanzamento di nuove figure dirigenti. Il PD, partito nuovo, deve quindi dare il segno di una reale discontinuità pur valorizzando e impegnando tutte le nostre migliori competenze.

Il punto successivo si riferisce alla questione delle primarie. Contrariamente a quanti pensano che le primarie siano una clava da brandire per minacciare questo o quello, io scelgo un approccio meno emotivo. Il percorso sarà quello delineato dallo Statuto e dal Regolamento regionale.

Ritengo opportuno che in attesa dello Statuto e del Regolamento regionale, il Partito Democratico possa intraprendere una serie di azioni che qui elenco sinteticamente:

a) mettersi in ascolto della città, avviando un ampio confronto con gli amministratori pubblici locali, provinciali e regionali, organizzazioni di categoria e sindacali, associazioni di volontariato, culturali e sportive, fondazioni, rappresentanti dell’imprenditoria e del lavoro per definire un quadro sinottico dei processi e dei progetti in corso e per condividere, ove possibile, analisi e strumenti.

b) Predisporre gruppi di lavoro sui tre temi fondamentali dello Sviluppo Locale, del Welfare e della Scuola, Economia della Conoscenza e Formazione. Gruppi dei quali faranno parte i membri del coordinamento comunale e altri soggetti in rappresentanza delle forze sociali, economiche e culturali in grado di contribuire all’elaborazione del manifesto politico del PD per la città di Orvieto.

c) Predisporre iniziative nei circoli del PD al fine di mobilitare la nostra gente in vista dei prossimi appuntamenti politici e amministrativi;

d) Organizzare una serie di iniziative per definire il contesto generale (internazionale, nazionale e regionale) all’interno del quale predisporre la piattaforma politico-programmatica.

Tutto questo impegno troverà compimento nella conferenza politico-organizzativa, da effettuarsi entro la fine di ottobre.

Ritengo inoltre opportuno che questo percorso debba contemplare anche una riflessione collettiva sull’operato delle amministrazioni Comunale e Provinciale, atto doveroso che ritengo possa sancire la reale sostanza democratica della nostra politica.

Vorrei porre ora, alcuni temi che ritengo considerevoli di una nostra particolare attenzione poiché rappresentativi del nostro profilo e di quella che ritengo essere la nostra identità.

Vorrei partire dai giovani. “È tempo di abbattere gli ostacoli che vengono da una società chiusa, soffocata dai corporativismi, e che difende l’esistente e le rendite di posizione. Ridare voce ai giovani è essenziale perché sono loro a porre quella domanda di valorizzazione dei talenti e delle energie e di liberalizzazione della società che è ormai ineludibile”. Questo è quanto scrive il nostro Manifesto dei Valori.

I giovani tengono aperte le porte del futuro perché là dovranno realizzare se stessi, le loro passioni, i loro talenti. Orvieto deve scommettere sui giovani, sulla cultura, sui saperi, sulla creatività. Lo deve fare concretamente: dai servizi alle occasioni di lavoro, dalle biblioteche agli istituti formativi, dal tempo libero allo sport, dalla politica della casa ai servizi per la prima infanzia. Il Partito Democratico deve quindi assumersi, integralmente la responsabile promozione di una nuova classe dirigente che sappia parlare con una voce più vicina alla contemporaneità.

Altro tema decisivo è quello della democrazia. Noi abbiamo un “dovere” costitutivo nei riguardi del concetto di “democrazia”. Il Partito Democratico nasce alimentando le speranze di partecipazione e cambiamento degli italiani. Noi abbiamo allora il “dovere” di esigere una democrazia libera e forte. Una democrazia intesa come partecipazione, inclusione, solidarietà, autogoverno, ma anche come capacità di decisione, assunzione di responsabilità verso il bene comune.

La “democrazia” deve poter essere quotidianamente ampliata, diffusa, alimentata. Dal dialogo, dalla partecipazione, dalla libera discussione nasce quella passione civica necessaria per fare grande la nostra città; nasce il consenso e nuove idee e quel bene comune che è l’intelligenza collettiva, il sapere comune.

Una politica forte, autorevole non teme di ampliare i confini degli strumenti di democrazia, la libera circolazione delle informazioni, la condivisione della conoscenza.

Dalla riflessione sulla democrazia quale “ethos della politica” e dalla consapevole urgenza di predisporre strumenti di governo più adatti a cogliere la trama complessa della società orvietana, possono sorgere i primi segnali dell’innovazione che saremo chiamati a realizzare. Dinanzi ad una città e ad un territorio multipolare, in cui coesistono istanze autonome che determinano effetti reali e incisivi, è necessario un surplus di “intelligenza connettiva” che può trovare un luogo di rappresentazione attraverso l’azione politica.

Intelligenza connettiva per tenere assieme tutta la città e il territorio, per condividere progetti e responsabilità. La politica è quindi chiamata a svolgere un ruolo importante. Anzitutto lavorando affinché città e territorio si affermino sempre più come “bene comune”, occasione di crescita e sviluppo.

Ecco che il tema dei “diritti delle generazioni future” entra nel cono di luce della politica e della progettazione del vivere insieme. Un ingresso da cui è possibile trarre quei “principi di responsabilità”, di “precauzione” e di “cautela” che devono animare molte delle scelte ambientali di chi è impegnato nel difficile governo della città.

Una politica autorevole non agisce per cooptazione ma sulla base del principio di autorevolezza. E la politica del “noi” sarà tanto più autorevole quanto il “dire” e il “fare” potranno riallinearsi.

La politica è troppo spesso sotto la sferza della contingenza, vittima delle emergenze. Soffocata dalla dittatura dei “tempi brevi”: tempi delle scadenze elettorali, tempi delle carriere, tempi che annichiliscono la capacità di cambiare davvero. Tempi, infine, che ripetono il medesimo ritornello della conservazione e della persistenza delle rendite inoperose.

Dobbiamo restituire alla politica la “serenità” del tempo senza assillo, il dispiegarsi pieno del progetto. Per guadagnare ciò, è importante mettere accanto all’io quel “noi” che è capace di proiettarsi, con il senso della comunità, sui tempi lunghi. Quel “noi” si contrappone all’egoismo, alla solitaria fuga nel potere, al pensiero povero che è monologo e non dialogo.

La politica del “noi” deve saper indicare con quali soggetti intende costruire e realizzare una “città nuova”, l’innovazione delle pratiche sociali, culturali, economiche e politiche.

Quello che è in gioco, in questo passaggio storico, non è riconducibile ad una mera questione di tecnica amministrativa. Noi, oggi, dobbiamo saper aprire le porte di un futuro su cui nessuno può vantare diritti in esclusiva. La città sarà quella che “noi” vogliamo che sia. E in quel “noi” ci sono i cittadini, la politica, l’amministrazione, le imprese, le organizzazioni di categoria, le parti sociali, le autonomie funzionali, le associazioni, gli altri enti…

Chi sono, allora, i soggetti con cui noi vogliamo costruire la città del futuro?

Sono anzitutto i giovani, le donne, e tutti quei cittadini che non temono l’innovazione, il merito come criterio di selezione; persone che sentono urgente l’esigenza di porre la grande questione dell’uguaglianza nelle forme rinnovate delle opportunità e del sapere, imprenditori aperti al nuovo che accettano le sfide della globalizzazione, anziani che sentono di poter ancora offrire valori sociali e comunitari e che tuttavia si attendono di poter disporre di servizi all’altezza.

C’è una “città aperta” e “creativa” pronta per dare un senso a questa magnifica avventura che stiamo intraprendendo. La “città aperta” combatte l’immobilismo, le rendite e promuove l’uguaglianza con strumenti e servizi di crescita personale.

Ecco: abbiamo bisogno di una economia che cresce, produca ricchezza diffusa e che valorizzi il lavoro qualificato. L’economia è cambiata: oggi la natura della produzione esige la messa al lavoro dell’intera soggettività dell’individuo, di tutte le competenze sia esse formalizzate o acquisite tramite l’esercizio dei talenti.

Se il “capitale umano” è quindi centrale nel determinare la qualità dello sviluppo di un luogo, altrettanto lo è la capacità dello stesso luogo di attrarre – in virtù dell’apertura, della tolleranza, di un’offerta culturale variegata e aperta alla modernità, di un sistema commerciale flessibile - personalità creative, lavoratori della conoscenza e imprese più avanzate.

In questo contesto dobbiamo costruire le condizioni più adatte affinché il capitale umano sia massimamente valorizzato per creare nuove opportunità anche per le aziende locali dei settori più tradizionali.

La sfida del futuro la dobbiamo vincere facendo squadra, organizzando reti nelle quali tutti i soggetti del nostro territorio possano condividere risorse, energie e progetti secondo un disegno coerente. Reti di soggetti, enti, imprese, organizzazioni che sanno di dover scommettere sui tempi medi, sulla risorsa rappresentata dalla conoscenza, dal territorio, dal formidabile patrimonio artistico e architettonico. La politica, in questo senso, può e deve svolgere un compito decisivo. Noi democratici abbiamo la responsabilità più grande: governare il cambiamento.

Buon lavoro a tutti.

Carlo Emanuele Trappolino

venerdì 19 settembre 2008

Nota alla "Nota del PD di Orvieto"

Per opportuna conoscenza, vorrei aggiungere ed approfondire alcuni passaggi fondamentali della relazione che il coordinatore Trap, la sera del 12 settembre al coordinamento comunale di Orvieto, ha rimesso alla discussione dei presenti. La nota del partito, non riassume tutta la relazione, ma bensì coglie gli elementi essenziali (altrimenti non sarebbe stata una "nota"), trascurando dei concetti, che secondo il mio modo di pensare e capire sono di fondamentale importanza. Attendo le vostre valutazioni ed i commenti, postate gente!. Grazie.

La riunione ha inizio intorno alle ore 21,30, siamo in molti, il Trap ed il coordinatore provinciale Leopoldo Di Girolamo arrivano insieme, con qualche minuto di ritardo, è la sera del temporale, dei fulmini e delle saette, il maltempo ha rallentato la tabella di marcia, non so' da dove venissero........Ci si saluta, si scambiano i dovuti convenevoli, le battute........le solite cose, tutti sorridenti........ma che clima!
Fuori è la bufera, ma dentro la sezione di Sferracavallo sembra primavera!!!
Ci mettiamo seduti, il silenzio avanza, il Trap inizia a leggere la sua relazione, frutto anche del lavoro della sua sua segreteria. Apre descrivendo i fatti della situazione mondiale, e poi europea, e poi nazionale e poi finalmente si arriva agli argomenti locali.
Il silenzio è assordante.
Parla del nostro PD........ di "Orvieto 2020", di "cambiare davvero", di "discontinuità" di un ritorno alla "propensione al bene comune", ai "compiti della politica", della "certezza, di aver lavorato bene", del "cambiamento",di "un gruppo dirigente nuovo, che applichi la discontinuità", di "promuovere la democrazia. Abbiamo il dovere di avere una democrazia forte", dell' "uguaglianza delle opportunità".
Poi la scaletta degli impegni di lavoro che deve assumere il partito : 1) Ascolto della città;2) gruppi di lavoro;3) riunioni nei circoli;4) organizzare riunioni per piattaforma programmatica.

Bene. Credo, siano stati sufficientemente chiari il messaggio e le indicazioni, che il coordinatore comunale di Orvieto abbia voluto dare ed impartire, lascio alla vostra immaginazione gli interventi a seguire, circa 21 se non sbaglio, si son fatte le 2 della notte.
Una curiosità, anche Di girolamo ha condiviso la "discontinuità", chissà perchè quando la chiedemmo, noi del collegio 7 della Bindi, alla prima riunione del coordinamento provinciale di Terni, non fu d'accordo? Eh! la politica è proprio strana, la coerenza a volte viene proprio dimenticata! A presto. Silvia

Nota del Partito Democratico sul percorso politico programmatico

Attenzione, apre in una nuova finestra. Cosa farà il Partito Democratico in vista delle elezioni amministrative del 2009? La risposta è stata data venerdì 12 settembre in occasione del Coordinamento Comunale di Orvieto.
Per quel che concerne le primarie, il PD si atterrà a quanto stabilito dallo Statuto e dal Regolamento regionale, la cui approvazione è prevista per il 10 di ottobre.


In attesa di ciò, il Partito Democratico intensificherà il confronto con le forze sociali, economiche e culturali della città, avviando un primo momento di ascolto e di condivisione di analisi e prospettive. Incontri dai quali auspichiamo di poter trarre importanti indicazioni e quindi delineare quella nuova idea di città che preme per divenire reale e concreta. Contemporaneamente, il Partito Democratico intende procedere:
1) ad una valutazione dell'operato dell'Amministrazione Comunale che riteniamo positiva e che, tuttavia, sarà oggetto di un ragionamento sviluppato insieme alle diverse rappresentanze della città, agli iscritti e ai cittadini, consapevoli che il giudizio definitivo spetta proprio a questi ultimi.
2) ad una serie di colloqui con tutte le componenti politiche orvietane del Centrosinistra per avviare un ragionamento comune, al fine di stabilire un chiaro confronto programmatico, funzionale alla costituzione di un’alleanza per il governo della città a partire dalle forze politiche dell'attuale coalizione;
3) all'elaborazione di quei punti programmatici e di indirizzo che, sulla scorta dei confronti precedenti, diventeranno la "proposta di città" del Partito Democratico. Questa "proposta di città", presentata agli iscritti, ai cittadini e alle organizzazioni in occasione della Conferenza Politico Programmatica (prevista per la fine di ottobre), costituirà il fondamento del nostro programma di governo.
Segreteria Partito Democratico di Orvieto

domenica 14 settembre 2008

Bindi: «Ora nel Pd ci vuole collegialità»

«Ho visto a Firenze un Pd rinfrancato. E ho percepito di nuovo quella sintonia con la nostra gente che si sentiva in campagna elettorale. Ecco, da qui possiamo ripartire. La botta è stata pesante e ci abbiamo messo tempo ad elaborare il lutto. Anche per Veltroni è stata dura: qualcuno dubitava persino che avesse intenzione di proseguire. Ma la leadership c'è».


Rosy Bindi non la chiama «tregua», però il suo giudizio positivo sulle conclusioni della Festa fiorentina muove proprio dalla convinzione che sia possibile un nuovo patto tra Veltroni, il grosso del gruppo dirigente e il partito che sta aprendo le iscrizioni. «La polemica di queste settimane ha toccato punte laceranti. Alcune critiche potevano essere evitate. Ma restiamo un partito plurale. E mi aspetto che il segretario voglia tenere il timone in modo autorevole e senza mortificare il pluralismo interno. Altrimenti perché ci chiamiamo democratici?»


In un partito democratico però anche la leadership può essere messa in discussione.
«Ma che senso avrebbe una resa dei conti tra leader in nuove primarie? Invece di uscire dal modello berlusconiano di partito ne resteremmo prigionieri. Dobbiamo ripartire da Veltroni, da noi tutti, dai cittadini delle primarie a cui stiamo chiedendo di prendere la tessera. A Firenze non abbiamo risolto tutti i nostri problemi. Ma sappiamo che per costruire un alternativa alla destra ci vuole una maratona, non una gara dei 100 metri».


È la sua risposta a Parisi?
«Parisi ha deciso di esprimere una critica estrema. Non la condivido, però nel partito c'è. A Parisi purtroppo si può solo rispondere con un sì o con un no. Comunque, l'esigenza di una maggiore collegialità nel partito resta».


Cosa vuol dire collegialità? Come tenere insieme le critiche quando hanno un segno opposto?
«Non entro negli organigrammi, ma bisogna trovare il modo per rispondere positivamente alla domanda di collegialità. C'è l'esigenza di affinare la nostra opposizione, elaborare un progetto culturale e politico chiaro e condiviso. Non basta dire che Di Pietro sbaglia: dobbiamo essere capaci di costruire un'alternativa programmatica forte al governo di destra. Per questo bisogna innovare, preparare una classe dirigente più giovane, ma coinvolgere nell'impresa tutte le personalità più autorevoli è un atto di saggezza».


Lei condivide la prospettiva di un'alleanza con l'Udc?
«Il Pd dovrà sperimentare alle prossime amministrative diversi modelli di alleanze, ferma restando la coerenza dei programmi. Non avrebbe senso però guardare solo nella direzione dell'Udc. Sarebbe uno snaturamento del Pd. Non condivido l'insistenza di Enrico Letta su questo punto. E non comprendo neppure la strategia di Rutelli, che combina i segnali all'Udc con posizioni teo-dem non compatibili con la cultura cattolica-democratica. Su questo il Pd deve dire una parola chiara, e anche sul giornale Europa che lo supporta».


Anche la ferita di Prodi è ancora viva. E le recenti intercettazioni hanno aggravato la piaga.
«Ero contraria, allora, all'elezione diretta del segretario del Pd. Era chiaro che il dualismo Veltroni-Prodi non avrebbe fatto bene al governo. Ho sempre detto che il discorso del Lingotto si presentava in alternativa al programma di governo. E avrei voluto che Prodi fosse ancora presidente del Pd. Resterà il dissenso sul passato. Ma bisogna guardare al futuro. E su un punto le parole di Prodi sono irrinunciabili: il Pd deve essere il compimento dell'Ulivo. Deve avere un carattere aperto, inclusivo, ma al tempo stesso deve costruire una unità programmatica andando oltre le vecchie identità. Altrimenti avrà la meglio chi immagina il Pd come la semplice somma dei Ds e della Margherita, o peggio come l'ultima evoluzione della sinistra italiana».

di Claudio Sardo - da Il Messaggero

" Il primo compito del Partito Democratico deve essere quello di restituire credibilità alla politica". Rosy Bindi