Crolla il PIL italiano, siamo a -1 ha certificato ieri, lunedì 2 marzo, l'Istat sottolineando a sorpresa che il dato negativo riguarda l'anno appena trascorso, il 2008. Dunque, anche una come me, poco avvezza a muoversi nelle alchimie delle analisi economiche e finanziarie, comprende che da ieri, cioè da quando il nostro istituto di statistica ha reso noti i dati sull'andamento del prodotto interno lordo, è ufficialmente riconosciuto che la recessione non solo c'è ma anche c'era. C'era nel 2008. Crollate le esportazioni (-3,7%), le importazioni (-4,5%), gli investimenti fissi lordi (- 3,0%), i consumi delle famiglie (-0,9), il PIL, acronimo de Prodotto Interno Lordo, cioè la ricchezza del Paese (-1,0%).
Tradotto nella lingua di tutti i giorni, significa che l'Italia, quindi noi tutti, siamo ufficialmente più poveri. Abbiamo comprato meno, abbiamo consumato meno, abbiamo dovuto fare di più i conti con il potere d'acquisto dei salari (chi ce li ha) fermo a quel dì mentre intorno tutto aumentava di costo, dal pane alla pasta, dalla verdura alla frutta, dal latte alle uova, e poi gli affitti, le bollette, i mutui, la scuola, scarpe, cappotti, libri, trasporti tutti e nessuno escluso, la tazzina di caffè al bar…
Veramente, lo sapevamo già prima della certificazione ufficiale dell'Istat, in che stato-non stato stesse il nostro Pil. Ce ne eravamo accorti guardandoci intorno (oltre che nelle nostre tasche), nei supermercati e nei centri commerciali, nei negozi vuoti, sugli autobus e sui treni pendolari, agli ingressi delle fabbriche, il sabato pomeriggio (s)consacrato allo shopping e le domeniche dei saldi… Lo sapevano gli insegnanti, gli impiegati, i professionisti autonomi. Se n'erano accorti gli operai e le operaie in cassa integrazione, i licenziati, quelli e quelle con contratti atipici e con contratti non rinnovati, quelli e quelle con lavoro a nero… Lo sapevano i giovani e le donne, e la popolazione del sud italiano, le fasce che adesso l'Istat ufficialmente dichiara in cima alla graduatoria della precarietà, leggi povertà.
Ci stupiva (!?) che il solo a non accorgersene fosse il ministro Tremonti, con le sue stime da ottimismo dei forzati del sorriso, puntualmente adesso smentite dai dati. La sua ultima valutazione, -0,6 per cento, contenuta nell'aggiornamento del programma di stabilità presentato in febbraio a Bruxelles, si rivela adesso per quello che era, una bufala. Di vero, c'è solo che la crisi dura è ancora da venire. In questo 2009, e fors'anche nel 2010, secondo le fosche previsioni di economisti e addetti ai lavori. Potremmo andare giù del 2 forse anche del 2,5 per cento, ha detto per esempio il governatore della Banca d'Italia, che non è un comunista.
Arrivano in aggiunta anche le stime ufficiali dell'OCSE che rivede al ribasso le prospettive di crescita dell'Italia per l'anno in corso. Peggio di noi, anzi alla pari sta solo il Giappone; negli altri stati dell'Occidente (che conta) una crescita c'è, dallo 0,7 della Francia all'1,3 della Germania. Fioccano le dichiarazioni di Sindacati e Confindustria. Servono interventi urgenti, qualitativi e quantitativi, servono investimenti, serve lavoro.
Il Ministero del Tesoro non commenta. Ma tacere non allontana la crisi. E giocare di sponda con l’opinione pubblica, deviando su altri temi, l'innalzamento dell’età pensionabile delle donne per esempio ,- proprio oggi la bozza del Governo è stata inviata alla visione dell’Unione europea -, puó servire a catturare attenzione e dibattito per qualche giorno, ma non allontana il precipizio.
Ci dicano invece il presidente del Consiglio e i Ministri competenti come spiegano (a se stessi, innanzitutto) il Lunedì Nero Italiano. Dati del Pil in una mano e proiezioni per l'anno in corso nell'altra, ci dicano dove hanno sbagliato. E se hanno intenzione di rivedere l'intero pacchetto delle politiche economiche, per il bene dei cittadini e delle cittadine. Risposte semplici, senza affanni demagogici, e giochi di propaganda a rimpiattino.
Ci dicano per esempio quanti e quali posti di lavoro verranno concretamente creati, ed in che percentuale riguarderanno l'occupazione femminile.
Chiediamo al Governo di uscire dal silenzio. Non per niente siamo nella settimana dell'Otto Marzo, la Giornata Internazionale delle Donne che ha già compiuto cento anni e non li dimostra.
di Nella Condorell
fonte:"women in the city"
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