Rosy Bindi, da tempo non si esprime sul Pd. Anche lei crede che sia in pericolo?
«Vedo sensibilità molto diverse su questioni fondamentali. Ieri Gaza. Oggi l'accordo sui contratti. Enrico Letta approva e afferma che siamo nel solco del governo Prodi. Sbaglia: noi l'accordo non lo siglammo, mai l'avremmo fatto senza la Cgil, e poi non eravamo in un periodo di crisi drammatica. Veltroni dice che l'accordo va bene ma la Cgil andava ascoltata. Sbaglia anche lui: in questi casi il metodo è il merito. Io sto con Ciampi: dividere i lavoratori in una fase come questa è imperdonabile, e il Pd deve denunciarlo, con una voce sola».
Obiettivo remoto.
«In campo ci sono due strategie. Coloro che considerano il Pd come il compimento dell'Ulivo: un partito plurale, che però sa trovare una sintesi. E coloro che concepiscono il Pd come un partito di sinistra, che ha metabolizzato qualche cattolico democratico ... tipo la Bindi, che va benissimo perché è più a sinistra di qualcun altro; con pochi che vanno verso Casini, e tanti che vanno verso Vendola. Non a caso da una parte si vagheggiano nuovi partiti di centro, dall'altra Rina Gagliardi propone di fare un bel partito di sinistra con D'Alema».
E lei, Rosy Bindi?
«Io continuo a credere nel progetto del Pd: l'inadeguatezza di una classe dirigente non deve cancellarlo. Di solito mi chiedono di parlare di Moro e Berlinguer; l'altro giorno invece mi hanno invitato a un convegno sul primo centrosinistra, e ho dovuto prepararmi su Moro e Nenni. E ho avuto la conferma che, ogni qualvolta si è tentato di unire i riformismi italiani, il progetto ha sempre avuto dei nemici. Anche il progetto del Pd ha molti nemici, esterni e forse non solo. Per questo lo dobbiamo difendere».
Veltroni lo sta facendo in modo adeguato?
«Penso tuttora che Veltroni sia l'interprete più autentico del progetto originario. Però la sintesi è compito suo. E la sintesi non si fa con il "ma anche", né imponendo una posizione egemonica su un'altra».
L'egemonia pare quella degli ex diessini.
«Ma io non accetto che, non riuscendo a far valere le proprie idee dentro il proprio partito, si debba cercare altrove la forza che non si ha. In ventiquattr'ore abbiamo scelto di mettere fine all'Unione; ora sarebbe sbagliato scegliere in ventiquattr'ore di ricreare l'unità a sinistra, come dicono alcuni ex diessini, o di allearci con l'Udc, come sostengono Letta e Rutelli. Non ha senso affidare il moderatismo all'accordo con altri: alla Cisl che sigla la riforma dei contratti, all'Udc che a Trento si allea con noi (per poi schierarsi con Berlusconi in Abruzzo e in Sardegna). Così come è sbagliato affidare i valori cristiani alle intemperanze dei teodem. Se i cattolici hanno bisogno di Buttiglione per contare nel Pd, significa che hanno fallito».
Parisi e i prodiani hanno assunto una posizione molto polemica verso il Pd.
«Innanzitutto, nessuno è più prodiano di un altro. Prodi è Prodi. Non è ammutolito, scrive editoriali importanti sull'economia; nessuno può parlare a nome suo. Per me è di Prodi solo quel che firma Prodi».
Quanto a Parisi?
«La nostra idea del Pd resta la stessa. Ma il suo atteggiamento non è produttivo. Limitandosi alla polemica e chiamandosi fuori dai momenti decisionali nella vita del partito, si preclude la possibilità di incidere».
Di Pietro vi sta portando via i voti degli antiberlusconiani duri e puri.
«A Di Pietro un po' di umiltà non farebbe male. L'alleanza con lui è stata stretta dagli stessi che teorizzavano la vocazione maggioritaria. Ora stiamo attenti sia a non diventare subalterni a Di Pietro, sia a non trasformarci in una brutta copia della destra. Ad esempio sarebbe un grave errore farci trascinare a un accordo per vietare le intercettazioni, ascoltando Berlusconi che parla del "più grande scandalo" della Seconda Repubblica. Non vorrei diventasse il più grande mistero: un uomo che controlla 350 mila persone non è un semplice consulente di De Magistris».
I teodem non sono alleati ma fondatori del Pd.
«Un partito riformista non si divide in clericali e ribelli. Sa dialogare tutto insieme con la Chiesa, come hanno saputo fare Sturzo, De Gasperi, Moro, Bachelet».
Marini pare molto insoddisfatto degli allievi che ha messo ai vertici del partito, Franceschini e Fioroni.
«Non è la prima volta che Marini non è contento delle persone su cui ha investito. Si è fidato di Martinazzoli, di Buttiglione, di D'Alema, di Rutelli, e ogni volta si è ricreduto. Se non altro sa cambiare idea...».
Da cattolica e da ex ministro della Sanità, cosa pensa del caso Eluana e dell'intervento della Bresso?
«C'è una sentenza. Va applicata, nel modo più discreto possibile: le strutture sanitarie in Italia sono in grado di farlo. Per questo la Bresso ha sbagliato a dirlo. Ma l'intromissione del governo è inaccettabile: il dovere della politica è semmai fare una legge che regoli il testamento biologico senza introdurre l'eutanasia. E paradossale che il Pd si laceri nelle proprie divisioni anziché rilanciare il progetto e dare un contributo al Paese proprio nel momento in cui Berlusconi conferma la sua inadeguatezza».
(26 gennaio 2009) - fonte: Corriere della Sera - Aldo Cazzullo
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