sabato 27 dicembre 2008
BUONE FESTE !
E’ Natale ogni volta
che sorridi a un fratello
e gli tendi la mano.
E’ Natale ogni volta
che rimani in silenzio
per ascoltare l’altro.
E’ Natale ogni volta
che non accetti quei principi
che relegano gli oppressi
ai margini della società.
E’ Natale ogni volta
che speri con quelli che disperano
nella povertà fisica e spirituale.
E’ Natale ogni volta
che riconosci con umiltà
i tuoi limiti e la tua debolezza.
E’ Natale ogni volta
che permetti al Signore
di rinascere per donarlo agli altri.
Madre Teresa di Calcutta
giovedì 18 dicembre 2008
Lavorare stanca soprattutto le donne
Tra ufficio, casa e figli, sono mediamente impegnate
nove ore al giorno. È giusto mandarle in pensione cinque anni più tardi?
Lavorare stanca
soprattutto le donne
di MAURIZIO RICCI
LAVORARE è donna. Come le donne, del resto, sanno benissimo. Gli uomini lo sanno un po' meno. Ma i dati non lasciano dubbi. L'Istat li ha raccolti in un volumetto nello scorso settembre, dal titolo beneaugurante "Conciliare lavoro e famiglia" e non ammettono replica: trattandosi di indagini campionarie, quei dati sono stati forniti dai diretti interessati, cioè noi.
E, dunque: fra lavoro a casa e in ufficio, le donne iniziano prima, finiscono dopo, dormono meno degli uomini e delle altre europee, hanno meno tempo libero. Si sudano la giornata sette giorni su sette, senza staccare mai, neanche al weekend. Nessuna di loro, quanto torna dall'ufficio, si sbatte in poltrona, senza più muovere un dito. Mentre così fa un italiano (maschio) ogni tre. Basta questo per respingere, in linea di principio, l'idea che anche le donne restino al lavoro cinque anni di più, rinviando la pensione agli stessi 65 anni degli uomini, come Brunetta e altri sono tornati a proporre?
A discuterne, anche fra loro, sono, per prime, le donne. E, allora, vediamo com'è la situazione. Anzitutto, il superlavoro al femminile non è un'anomalia tutta italiana. Gli studiosi registrano che in nessun paese, neanche in quelli in cui la parità uomo-donna (come in Scandinavia) è più spinta, ci sono state davvero, in questi ultimi decenni, trasformazioni radicali nella divisioni dei compiti fra l'universo maschile e quello femminile.
Ma in Italia è peggio. Ed è inutile invocare l'esposizione solare, tradizioni antiche, la latitudine in genere, insomma, la cultura mediterranea. La situazione della donna nella società, in ufficio, a casa, risulta peggiore in Italia, anche rispetto ad altri paesi maschilisti e mediterranei, come Spagna e Grecia. L'Istat ha provato a misurare le differenze rispetto all'Italia di 15-20 anni fa, ma sono minime. E la politica accompagna, in piena sintonia, questo guardare indietro: l'Italia è all'ultimo posto, in Europa, anche nei pacchetti di aiuti per i figli, sia in termini di denaro che di servizi offerti, dall'asilo nido al tempo pieno a scuola. A pagare questo mix politico-sociale-culturale-economico non sono, però, solo le donne, ma tutti noi.
Il primo effetto di questo sovraccarico è, infatti, che sono di meno, rispetto agli altri paesi, le donne che se la sentono e/o riescono ad andare a lavorare fuori casa. Il numero di persone che, in Italia, lavora, in fabbrica o in ufficio, rispetto a quelli in età per farlo (gli economisti lo chiamano il tasso di attività e comprende anche i disoccupati) è infatti il più basso d'Europa, Malta esclusa: solo sei italiani su dieci hanno una busta paga o sono disoccupati. In Europa, in media, sono sette su dieci.
Ma la differenza è tutta una questione di sesso. Il tasso di attività degli uomini, più o meno, è in linea con la media europea. Sono le donne a risultare più "inattive" del resto del continente. Ovvero, a lavorare solo a casa. Da noi, questo è vero per la metà delle donne. In Europa, solo per un terzo. Questa esclusione non avviene gratis, anzi, costa parecchio. Esattamente 260 milioni di euro ogni anno. Di tanto il paese sarebbe più ricco, se le italiane andassero in fabbrica o in ufficio quanto gli uomini. La Banca d'Italia calcola, infatti, che il il Pil, il prodotto interno lordo, sarebbe più alto di oltre il 17 per cento l'anno.
Il secondo effetto è che avere figli diventa uno stress sempre meno sopportabile. Il risultato è la bassa fecondità delle donne italiane. Da trent'anni, ormai, le coppie italiane non arrivano, in media, a fare almeno due figli: il risultato è che la popolazione, tolti gli immigrati, si riduce. Si sta più larghi, è vero, ma l'Italia invecchia: ci sono troppi pensionati e troppi pochi lavoratori attivi. Quindi meno contributi per finanziare le pensioni. E il sistema pensionistico rischia di implodere.
A chi tocca l'esame di coscienza, se le donne hanno troppo da fare a casa per trovarsi un lavoro in ufficio o lavorano troppo, se vanno anche in ufficio? Anzitutto alla politica. Avere figli molto piccoli e riuscire a mantenere una busta paga è un pesante gioco di prestigio. Solo il 6 per cento dei bambini italiani sotto i 2 anni ha un posto (gratis) in un asilo nido pubblico, per nove ore al giorno. In Belgio siamo al 30 per cento, in Francia al 40, in Portogallo al 12 per cento.
E' un panorama, comunque, diseguale: le mamme inglesi ed olandesi stanno peggio delle nostre, in Germania poco meglio. L'Italia non brilla, tuttavia, neanche per la qualità degli asili nido: nell'apposita classifica siamo al decimo posto su 15. In Danimarca, ad esempio, c'è un insegnante ogni tre bambini, da noi ogni sei. La situazione migliora per i bambini più grandicelli: l'87 per cento degli italiani fra i 3 e i 6 anni ha un posto in una scuola materna pubblica, una percentuale in linea con la Francia e migliore di molti altri paesi.
Ma peggiora di colpo, quando si arriva alle elementari. Il grosso degli scolari italiani torna a casa all'ora di pranzo e, se mamma lavora, o è a part time o ci vuole nonna. Il tempo pieno è una realtà di massa solo nelle grandi città del Centro Nord, dove copre circa la metà degli scolari.
L'altro esame di coscienza, naturalmente, tocca a mariti e padri. Se si guarda alle coppie con figli sotto i 6 anni, si vede che, in media, fra casa e ufficio, mamma lavora 9 ore al giorno. Papà, otto. La differenza è tutta nel lavoro familiare. Il 30 per cento degli italiani (maschi) a casa non fa neanche un minuto di lavoro per la famiglia: solo l'8 per cento dei padri svedesi e il 19 per cento di quelli francesi non vede motivo per rendersi utile.
E' un quadretto vecchio di secoli: papà in poltrona e mamma in piedi con la scopa. Ciò che conta è che è sempre lo stesso. In casa, dicono gli studiosi, la situazione in Italia è "inalterata". Di fatto, se si confronta la situazione a fine anni '80 e quella di oggi, le differenze complessive sono minime. Le italiane dedicano al lavoro familiare, in media, 5 ore e 20 minuti ogni giorno, un'ora in più di francesi e tedesche, mezz'ora in più delle spagnole. E la domenica? Uguale, anzi un po' di più: 5 ore e 32 minuti. E papà, intanto? In media, dedica al lavoro familiare un'ora e mezza al giorno, più o meno quanto uno spagnolo, ma tre quarti d'ora in meno di francesi e tedeschi.
La domenica è un po' più impegnativa: al lavoro in casa, il maschio italiano dedica, in media, due ore del giorno di festa. Ma di quale lavoro familiare stiamo parlando? Grosso modo, papà va di trapano e martello, ripara elettrodomestici, pianta quadri nel muro e sorveglia le gomme della macchina di famiglia. Pulire, rassettare, preparare i pasti è, per il 90 per cento delle famiglie italiane, un lavoro da donne. Anzi, un lavoro esclusivamente femminile, se parliamo di lavare panni o stirare.
L'Istat coglie qualche barlume nuovo. Se papà è laureato (e mamma pure), il contributo in famiglia sembra essere più sostanzioso, soprattutto per quanto riguarda la cura dei figli che, peraltro, a ben vedere, è sempre meglio che fare il bucato. Piccoli segnali, comunque, limitati alle fasce più alte di istruzione. Forse, il problema è la riforma della scuola.
(17 dicembre 2008)
fonte: Repubblica
nove ore al giorno. È giusto mandarle in pensione cinque anni più tardi?
Lavorare stanca
soprattutto le donne
di MAURIZIO RICCI
LAVORARE è donna. Come le donne, del resto, sanno benissimo. Gli uomini lo sanno un po' meno. Ma i dati non lasciano dubbi. L'Istat li ha raccolti in un volumetto nello scorso settembre, dal titolo beneaugurante "Conciliare lavoro e famiglia" e non ammettono replica: trattandosi di indagini campionarie, quei dati sono stati forniti dai diretti interessati, cioè noi.
E, dunque: fra lavoro a casa e in ufficio, le donne iniziano prima, finiscono dopo, dormono meno degli uomini e delle altre europee, hanno meno tempo libero. Si sudano la giornata sette giorni su sette, senza staccare mai, neanche al weekend. Nessuna di loro, quanto torna dall'ufficio, si sbatte in poltrona, senza più muovere un dito. Mentre così fa un italiano (maschio) ogni tre. Basta questo per respingere, in linea di principio, l'idea che anche le donne restino al lavoro cinque anni di più, rinviando la pensione agli stessi 65 anni degli uomini, come Brunetta e altri sono tornati a proporre?
A discuterne, anche fra loro, sono, per prime, le donne. E, allora, vediamo com'è la situazione. Anzitutto, il superlavoro al femminile non è un'anomalia tutta italiana. Gli studiosi registrano che in nessun paese, neanche in quelli in cui la parità uomo-donna (come in Scandinavia) è più spinta, ci sono state davvero, in questi ultimi decenni, trasformazioni radicali nella divisioni dei compiti fra l'universo maschile e quello femminile.
Ma in Italia è peggio. Ed è inutile invocare l'esposizione solare, tradizioni antiche, la latitudine in genere, insomma, la cultura mediterranea. La situazione della donna nella società, in ufficio, a casa, risulta peggiore in Italia, anche rispetto ad altri paesi maschilisti e mediterranei, come Spagna e Grecia. L'Istat ha provato a misurare le differenze rispetto all'Italia di 15-20 anni fa, ma sono minime. E la politica accompagna, in piena sintonia, questo guardare indietro: l'Italia è all'ultimo posto, in Europa, anche nei pacchetti di aiuti per i figli, sia in termini di denaro che di servizi offerti, dall'asilo nido al tempo pieno a scuola. A pagare questo mix politico-sociale-culturale-economico non sono, però, solo le donne, ma tutti noi.
Il primo effetto di questo sovraccarico è, infatti, che sono di meno, rispetto agli altri paesi, le donne che se la sentono e/o riescono ad andare a lavorare fuori casa. Il numero di persone che, in Italia, lavora, in fabbrica o in ufficio, rispetto a quelli in età per farlo (gli economisti lo chiamano il tasso di attività e comprende anche i disoccupati) è infatti il più basso d'Europa, Malta esclusa: solo sei italiani su dieci hanno una busta paga o sono disoccupati. In Europa, in media, sono sette su dieci.
Ma la differenza è tutta una questione di sesso. Il tasso di attività degli uomini, più o meno, è in linea con la media europea. Sono le donne a risultare più "inattive" del resto del continente. Ovvero, a lavorare solo a casa. Da noi, questo è vero per la metà delle donne. In Europa, solo per un terzo. Questa esclusione non avviene gratis, anzi, costa parecchio. Esattamente 260 milioni di euro ogni anno. Di tanto il paese sarebbe più ricco, se le italiane andassero in fabbrica o in ufficio quanto gli uomini. La Banca d'Italia calcola, infatti, che il il Pil, il prodotto interno lordo, sarebbe più alto di oltre il 17 per cento l'anno.
Il secondo effetto è che avere figli diventa uno stress sempre meno sopportabile. Il risultato è la bassa fecondità delle donne italiane. Da trent'anni, ormai, le coppie italiane non arrivano, in media, a fare almeno due figli: il risultato è che la popolazione, tolti gli immigrati, si riduce. Si sta più larghi, è vero, ma l'Italia invecchia: ci sono troppi pensionati e troppi pochi lavoratori attivi. Quindi meno contributi per finanziare le pensioni. E il sistema pensionistico rischia di implodere.
A chi tocca l'esame di coscienza, se le donne hanno troppo da fare a casa per trovarsi un lavoro in ufficio o lavorano troppo, se vanno anche in ufficio? Anzitutto alla politica. Avere figli molto piccoli e riuscire a mantenere una busta paga è un pesante gioco di prestigio. Solo il 6 per cento dei bambini italiani sotto i 2 anni ha un posto (gratis) in un asilo nido pubblico, per nove ore al giorno. In Belgio siamo al 30 per cento, in Francia al 40, in Portogallo al 12 per cento.
E' un panorama, comunque, diseguale: le mamme inglesi ed olandesi stanno peggio delle nostre, in Germania poco meglio. L'Italia non brilla, tuttavia, neanche per la qualità degli asili nido: nell'apposita classifica siamo al decimo posto su 15. In Danimarca, ad esempio, c'è un insegnante ogni tre bambini, da noi ogni sei. La situazione migliora per i bambini più grandicelli: l'87 per cento degli italiani fra i 3 e i 6 anni ha un posto in una scuola materna pubblica, una percentuale in linea con la Francia e migliore di molti altri paesi.
Ma peggiora di colpo, quando si arriva alle elementari. Il grosso degli scolari italiani torna a casa all'ora di pranzo e, se mamma lavora, o è a part time o ci vuole nonna. Il tempo pieno è una realtà di massa solo nelle grandi città del Centro Nord, dove copre circa la metà degli scolari.
L'altro esame di coscienza, naturalmente, tocca a mariti e padri. Se si guarda alle coppie con figli sotto i 6 anni, si vede che, in media, fra casa e ufficio, mamma lavora 9 ore al giorno. Papà, otto. La differenza è tutta nel lavoro familiare. Il 30 per cento degli italiani (maschi) a casa non fa neanche un minuto di lavoro per la famiglia: solo l'8 per cento dei padri svedesi e il 19 per cento di quelli francesi non vede motivo per rendersi utile.
E' un quadretto vecchio di secoli: papà in poltrona e mamma in piedi con la scopa. Ciò che conta è che è sempre lo stesso. In casa, dicono gli studiosi, la situazione in Italia è "inalterata". Di fatto, se si confronta la situazione a fine anni '80 e quella di oggi, le differenze complessive sono minime. Le italiane dedicano al lavoro familiare, in media, 5 ore e 20 minuti ogni giorno, un'ora in più di francesi e tedesche, mezz'ora in più delle spagnole. E la domenica? Uguale, anzi un po' di più: 5 ore e 32 minuti. E papà, intanto? In media, dedica al lavoro familiare un'ora e mezza al giorno, più o meno quanto uno spagnolo, ma tre quarti d'ora in meno di francesi e tedeschi.
La domenica è un po' più impegnativa: al lavoro in casa, il maschio italiano dedica, in media, due ore del giorno di festa. Ma di quale lavoro familiare stiamo parlando? Grosso modo, papà va di trapano e martello, ripara elettrodomestici, pianta quadri nel muro e sorveglia le gomme della macchina di famiglia. Pulire, rassettare, preparare i pasti è, per il 90 per cento delle famiglie italiane, un lavoro da donne. Anzi, un lavoro esclusivamente femminile, se parliamo di lavare panni o stirare.
L'Istat coglie qualche barlume nuovo. Se papà è laureato (e mamma pure), il contributo in famiglia sembra essere più sostanzioso, soprattutto per quanto riguarda la cura dei figli che, peraltro, a ben vedere, è sempre meglio che fare il bucato. Piccoli segnali, comunque, limitati alle fasce più alte di istruzione. Forse, il problema è la riforma della scuola.
(17 dicembre 2008)
fonte: Repubblica
PENSIONI: PD APRE ALLA PROPOSTA BRUNETTA SUI 65 ANNI PER LE DONNE
(ansa.it) ROMA - Il ministro delle Pari Opportunità del governo Ombra del Pd Vittoria Franco apre alla proposta del ministro della Pubblica amministrazione e dell' Innovazione Renato Brunetta sulla pensione alle donne a 65 anni a condizione che si investa sul lavoro femminile. "Le lancio una proposta - scrive la senatrice Franco in una lettera aperta al ministro - di alleanza o, se vuole, una sfida, tutta politica, tutta a favore delle donne: noi del Pd sosteniamo le sue proposte sulla equiparazione dell'età pensionabile e Lei sostiene il nostro progetto che prevede misure per promuovere l'occupazione femminile e favorire la conciliazione fra lavoro, maternità e carriera. Perché è proprio qui il problema, nella maternità che è ancora un ostacolo all'accesso al mercato del lavoro, alla carriera e alla realizzazione delle donne in un lavoro gratificante".
Il ministro Ombra che si dice "d'accordo" sul fatto che "molti, soprattutto della destra per la verità, vogliono le donne 'angeli del focolare', tutte casa e famiglia" si riferisce al disegno di legge, depositato al Senato (con il numero 784), che prevede appunto misure per promuovere l'occupazione femminile". "Per le donne laureate il differenziale salariale può arrivare anche al 25% in meno. Il livello di occupazione femminile al Sud è intorno al 31%. Ma quelle stesse donne inattive rinunciano anche a fare figli perché il futuro della coppia e della famiglia è più incerto" ricorda Vittoria Franco che lamenta la mancanza di investimenti del governo sostenendo che "non possono bastare i risparmi realizzati con l'equiparazione dell'età pensionabile". "Ci dia - conclude la lettera aperta al ministro Brunetta - qualche segnale che ci consenta di avere fiducia e per non pensare che questo Governo voglia di nuovo intrappolare le donne in una ulteriore discriminazione: più povere, più oberate di cura e pure in pensione più tardi degli uomini".
Il ministro Ombra che si dice "d'accordo" sul fatto che "molti, soprattutto della destra per la verità, vogliono le donne 'angeli del focolare', tutte casa e famiglia" si riferisce al disegno di legge, depositato al Senato (con il numero 784), che prevede appunto misure per promuovere l'occupazione femminile". "Per le donne laureate il differenziale salariale può arrivare anche al 25% in meno. Il livello di occupazione femminile al Sud è intorno al 31%. Ma quelle stesse donne inattive rinunciano anche a fare figli perché il futuro della coppia e della famiglia è più incerto" ricorda Vittoria Franco che lamenta la mancanza di investimenti del governo sostenendo che "non possono bastare i risparmi realizzati con l'equiparazione dell'età pensionabile". "Ci dia - conclude la lettera aperta al ministro Brunetta - qualche segnale che ci consenta di avere fiducia e per non pensare che questo Governo voglia di nuovo intrappolare le donne in una ulteriore discriminazione: più povere, più oberate di cura e pure in pensione più tardi degli uomini".
domenica 7 dicembre 2008
La CGIL: «Dal governo nessun aiuto alle donne»
Si è svolta oggi, venerdì 5 dicembre 2008 presso la Camera del Lavoro di Genova l’assemblea delle donne iscritte alla Cgil.
Il Coordinamento Donne della Camera del Lavoro di Genova, ritiene inaccettabili le misure assunte dal Governo rispetto ai tagli alla sanità, alla scuola, alle misure in materia lavorativa – utilizzo del part-time anche per orari brevi; inoltre, ritiene inutile, in un momento di crisi economica e produttiva la detassazione degli straordinari (che ovviamente penalizza le donne). In aggiunta, tra i provvedimenti adottati dal Governo mancano gli incentivi rivolti a favorire l’occupazione femminile, ma restano le «dimissioni in bianco».
Questi provvedimenti, che rappresentano l’esempio della filosofia di fondo che ispira questo Governo, portano ad una deregolamentazione del mercato del lavoro penalizzando le fasce deboli, tra cui le donne.
Tutto ciò - insieme al modello di welfare ipotizzato nel Libro Verde che vede l’intervento pubblico deresponsabilizzarsi e defilarsi scaricando sulla famiglia il lavoro di cura - porterà inevitabilmente al «ritorno a casa« delle donne.
Le donne della Cgil denunciano come il dissenso di chi queste cose prova a dirle, viene messo prepotentemente a tacere da parte del Governo; il recente episodio della revoca della nomina alla Consigliera Nazionale di Parità che aveva fortemente criticato le misure governative per l’impatto negativo che avrebbero avuto verso il genere femminile, ne è un esempio eclatante.
Il Coordinamento Donne della Camera del Lavoro di Genova ritiene che le condizioni per uno sviluppo di qualità e per superare la difficile congiuntura economica debbano avere un segno esattamente opposto.
E’ necessario: rimettere al centro lo sviluppo, il sostegno all’occupazione femminile, la lotta alla discriminazione nella carriera, la formazione, la stabilità del posto di lavoro, la qualità della vita, la salvaguardia del reddito da lavoro e da pensione; e ancora: una politica seria sui servizi sociali e sulla casa a partire dalla conferma dell’universalità dei diritti di cittadinanza.
Il Coordinamento Donne della Camera del Lavoro di Genova ribadisce inoltre il proprio impegno e la propria determinazione nel fronteggiare l’attacco rivolto all’autodeterminazione delle donne riaffermando con forza il principio fondamentale della laicità dello Stato.
Per tutti questi motivi il Coordinamento donne della Cgil genovese invita la città a partecipare compatta allo sciopero generale del 12 dicembre 2008.
fonte:diariodelweb.it
Il Coordinamento Donne della Camera del Lavoro di Genova, ritiene inaccettabili le misure assunte dal Governo rispetto ai tagli alla sanità, alla scuola, alle misure in materia lavorativa – utilizzo del part-time anche per orari brevi; inoltre, ritiene inutile, in un momento di crisi economica e produttiva la detassazione degli straordinari (che ovviamente penalizza le donne). In aggiunta, tra i provvedimenti adottati dal Governo mancano gli incentivi rivolti a favorire l’occupazione femminile, ma restano le «dimissioni in bianco».
Questi provvedimenti, che rappresentano l’esempio della filosofia di fondo che ispira questo Governo, portano ad una deregolamentazione del mercato del lavoro penalizzando le fasce deboli, tra cui le donne.
Tutto ciò - insieme al modello di welfare ipotizzato nel Libro Verde che vede l’intervento pubblico deresponsabilizzarsi e defilarsi scaricando sulla famiglia il lavoro di cura - porterà inevitabilmente al «ritorno a casa« delle donne.
Le donne della Cgil denunciano come il dissenso di chi queste cose prova a dirle, viene messo prepotentemente a tacere da parte del Governo; il recente episodio della revoca della nomina alla Consigliera Nazionale di Parità che aveva fortemente criticato le misure governative per l’impatto negativo che avrebbero avuto verso il genere femminile, ne è un esempio eclatante.
Il Coordinamento Donne della Camera del Lavoro di Genova ritiene che le condizioni per uno sviluppo di qualità e per superare la difficile congiuntura economica debbano avere un segno esattamente opposto.
E’ necessario: rimettere al centro lo sviluppo, il sostegno all’occupazione femminile, la lotta alla discriminazione nella carriera, la formazione, la stabilità del posto di lavoro, la qualità della vita, la salvaguardia del reddito da lavoro e da pensione; e ancora: una politica seria sui servizi sociali e sulla casa a partire dalla conferma dell’universalità dei diritti di cittadinanza.
Il Coordinamento Donne della Camera del Lavoro di Genova ribadisce inoltre il proprio impegno e la propria determinazione nel fronteggiare l’attacco rivolto all’autodeterminazione delle donne riaffermando con forza il principio fondamentale della laicità dello Stato.
Per tutti questi motivi il Coordinamento donne della Cgil genovese invita la città a partecipare compatta allo sciopero generale del 12 dicembre 2008.
fonte:diariodelweb.it
CENSIS: MOLTE LE DONNE MAGISTRATO, MA POCHE IN PARLAMENTO
(AGI) - Roma, 5 dic. - “Continuano a costituire aree di parziale esclusione sociale e lavorativa per le donne, da un lato le posizioni di vertice nell’ambito della rappresentanza politica e del governo economico, e dall’altro le aree a forte connotazione tecnologica. Lo si legge nel rapporto annuale del Consis.
“Le donne sono infatti circa un quarto degli uomini tra i legislatori, dirigenti e imprenditori, ma occupano piu’ della meta’ delle posizioni esecutive”, sottolinea il rapporto, “Nell’area della famiglia e della cura, inoltre, e’ evidente il sovraccarico femminile, sia per le ore dedicate al lavoro familiare, superiori a quelle delle donne di altri Paesi e di molto inferiori a quelle degli uomini, sia per il sostegno delle reti di mutuo aiuto e di cura nella famiglia allargata”.
Esiste comunque anche “una serie di fenomeni positivi, fino a sfiorare situazioni di dominio delle donne in alcune particolari aree. Rispetto all’ambito lavorativo, il riferimento va a tutte le professioni intellettuali, ma in particolare ai medici (35,7%) e agli specialisti in scienze della vita (55%), ai dirigenti di organizzazioni nazionali e sovranazionali (40,5%), alla magistratura (26,3%), alla pubblica amministrazione (47,2%), ai servizi di ricerca e sviluppo (44,5%), alle attivita’ immobiliari e ai servizi alle imprese (44,1%). L’area della gestione di impresa e’ un’altra area che mostra interessanti passi avanti nella posizione delle donne. In particolare il management e’ uno dei pochi settori nei quali l’Italia ha recuperato rispetto all’Europa per quanto riguarda la presenza femminile: nel 2006 avevamo il 32,9% dei manager donne contro il 32,6% in Europa”.
In particolare negli ultimi tre anni le donne in magistratura sono aumentate di oltre il 10 percento, e del 24 le dirigenti di organizzazioni di interesse nazionale e sovranazionale.(AGI)
Nic
“Le donne sono infatti circa un quarto degli uomini tra i legislatori, dirigenti e imprenditori, ma occupano piu’ della meta’ delle posizioni esecutive”, sottolinea il rapporto, “Nell’area della famiglia e della cura, inoltre, e’ evidente il sovraccarico femminile, sia per le ore dedicate al lavoro familiare, superiori a quelle delle donne di altri Paesi e di molto inferiori a quelle degli uomini, sia per il sostegno delle reti di mutuo aiuto e di cura nella famiglia allargata”.
Esiste comunque anche “una serie di fenomeni positivi, fino a sfiorare situazioni di dominio delle donne in alcune particolari aree. Rispetto all’ambito lavorativo, il riferimento va a tutte le professioni intellettuali, ma in particolare ai medici (35,7%) e agli specialisti in scienze della vita (55%), ai dirigenti di organizzazioni nazionali e sovranazionali (40,5%), alla magistratura (26,3%), alla pubblica amministrazione (47,2%), ai servizi di ricerca e sviluppo (44,5%), alle attivita’ immobiliari e ai servizi alle imprese (44,1%). L’area della gestione di impresa e’ un’altra area che mostra interessanti passi avanti nella posizione delle donne. In particolare il management e’ uno dei pochi settori nei quali l’Italia ha recuperato rispetto all’Europa per quanto riguarda la presenza femminile: nel 2006 avevamo il 32,9% dei manager donne contro il 32,6% in Europa”.
In particolare negli ultimi tre anni le donne in magistratura sono aumentate di oltre il 10 percento, e del 24 le dirigenti di organizzazioni di interesse nazionale e sovranazionale.(AGI)
Nic
lunedì 1 dicembre 2008
Bindi:Non possiamo farci dilaniare tra dalemiani e veltroniani
di Itti Drioli - da Quotidiano Nazionale
Rosy Bindi, nel partito democratico sembra che esistano solo dalemiani e veltroniani intenti a dilaniarsi. Voi ex popolari che ci state a fare? Assistete impotenti?
«Impotenti no. Alcuni sono alleati con D'Alema, altri con Veltroni e poi c'è chi, come me, mantiene una posizione di autonomia, convinta come sono che non possiamo essere la quarta evoluzione del partito della sinistra. Perciò non possiamo farci dilaniare da una gestione poco trasparente da una parte e percorsi paralleli dall'altra».
Equidistante da Veltroni e da D'Alema?
«Perché, del progetto di Rutelli non vogliamo parlare? Penso al problema dell'adesione al Pse: io non ho chiesto a Fassino di diventare cattolico democratico e lui non può chiedere a me di diventare socialdemocratica. Ma da questo a dire, come ha fatto Rutelli: "O così o usciamo dal partito", c'è una bella differenza!».
Ma com'è che siete arrivati a questo punto? Anche lei come il dalemiano Latorre pensa che la leadership di Veltroni sia fallimentare?
«Latorre non ha titolo per dirlo, perché non si evita una gestione fallimentare costruendo un'altra cosa, come si sta facendo con Red. Io sono molto critica con la gestione chiusa e tutta in difesa della maggioranza ma lo sono altrettanto con chi gli antepone un partito nel partito. E' normale che in questo partito ci siano due televisioni e tre giornali?».
Tre? C'è l'"Unità", c'è "Europa" e quale altro?
«Il "Riformista" dove lo mettiamo? Sembra che sia nato solo per parlare del Pd! E non si può dire che non esprima una linea».
Torniamo al segretario.
«Dovrebbe rivedere molto della sua politica, anche lui. Non si può venire a sapere dai giornali di 80 incarichi nel governo ombra. E non si può far eleggere il segretario del Lazio a maggioranza semplice in un partito nato dalle primarie».
E' paura o protervia?
«Direi che c'è una tentazione permanente di normalizzazione. Persino le primarie dei giovani. Dovrebbero essere un momento di massima apertura, chi se non i giovani? Invece la maggioranza ha indicato un candidato e gli altri erano tutti sfidanti. E c'è stato pure un ritardo enorme nel diffondere i risultati».
Dunque, il coordinamento di oggi è cruciale per avviare un chiarimento.
«Mah, ci si riunisce quasi ogni settimana, ma non è detto che le cose più importanti accadano là. La vicenda della commissione di vigilanza lo insegna: avevamo deciso tutti di puntare su Orlando, salvo imparare che qualcuno lavorava con la maggioranza. L'operazione Villari era preparata».
Dalla Vigilanza come ne uscite?
«Non c'è altra strada che abbandonare i lavori».
Tutto questo pasticcio per Di Pietro. Secondo i dalemiani ha creato troppi danni al Pd.
«In commissione di vigilanza, non siamo stati inchiodati a Di Pietro per subalternità politica, ma per correttezza istituzionale. L'Idv è l'unico gruppo parlamentare che non ha nessun incarico istituzionale. E non lo si può escludere perché non piace il suo modo di fare opposizione».
Lei dunque non se ne vuole liberare.
«L'alleanza con di Pietro può essere scomoda, ma - piccolo particolare non trascurabile- è stata sancita dagli elettori. Il resto, alleanze con l'Udc o altro, è tutto da costruire. E ce ne vuole...».
Rosy Bindi, nel partito democratico sembra che esistano solo dalemiani e veltroniani intenti a dilaniarsi. Voi ex popolari che ci state a fare? Assistete impotenti?
«Impotenti no. Alcuni sono alleati con D'Alema, altri con Veltroni e poi c'è chi, come me, mantiene una posizione di autonomia, convinta come sono che non possiamo essere la quarta evoluzione del partito della sinistra. Perciò non possiamo farci dilaniare da una gestione poco trasparente da una parte e percorsi paralleli dall'altra».
Equidistante da Veltroni e da D'Alema?
«Perché, del progetto di Rutelli non vogliamo parlare? Penso al problema dell'adesione al Pse: io non ho chiesto a Fassino di diventare cattolico democratico e lui non può chiedere a me di diventare socialdemocratica. Ma da questo a dire, come ha fatto Rutelli: "O così o usciamo dal partito", c'è una bella differenza!».
Ma com'è che siete arrivati a questo punto? Anche lei come il dalemiano Latorre pensa che la leadership di Veltroni sia fallimentare?
«Latorre non ha titolo per dirlo, perché non si evita una gestione fallimentare costruendo un'altra cosa, come si sta facendo con Red. Io sono molto critica con la gestione chiusa e tutta in difesa della maggioranza ma lo sono altrettanto con chi gli antepone un partito nel partito. E' normale che in questo partito ci siano due televisioni e tre giornali?».
Tre? C'è l'"Unità", c'è "Europa" e quale altro?
«Il "Riformista" dove lo mettiamo? Sembra che sia nato solo per parlare del Pd! E non si può dire che non esprima una linea».
Torniamo al segretario.
«Dovrebbe rivedere molto della sua politica, anche lui. Non si può venire a sapere dai giornali di 80 incarichi nel governo ombra. E non si può far eleggere il segretario del Lazio a maggioranza semplice in un partito nato dalle primarie».
E' paura o protervia?
«Direi che c'è una tentazione permanente di normalizzazione. Persino le primarie dei giovani. Dovrebbero essere un momento di massima apertura, chi se non i giovani? Invece la maggioranza ha indicato un candidato e gli altri erano tutti sfidanti. E c'è stato pure un ritardo enorme nel diffondere i risultati».
Dunque, il coordinamento di oggi è cruciale per avviare un chiarimento.
«Mah, ci si riunisce quasi ogni settimana, ma non è detto che le cose più importanti accadano là. La vicenda della commissione di vigilanza lo insegna: avevamo deciso tutti di puntare su Orlando, salvo imparare che qualcuno lavorava con la maggioranza. L'operazione Villari era preparata».
Dalla Vigilanza come ne uscite?
«Non c'è altra strada che abbandonare i lavori».
Tutto questo pasticcio per Di Pietro. Secondo i dalemiani ha creato troppi danni al Pd.
«In commissione di vigilanza, non siamo stati inchiodati a Di Pietro per subalternità politica, ma per correttezza istituzionale. L'Idv è l'unico gruppo parlamentare che non ha nessun incarico istituzionale. E non lo si può escludere perché non piace il suo modo di fare opposizione».
Lei dunque non se ne vuole liberare.
«L'alleanza con di Pietro può essere scomoda, ma - piccolo particolare non trascurabile- è stata sancita dagli elettori. Il resto, alleanze con l'Udc o altro, è tutto da costruire. E ce ne vuole...».
DIRITTI DEL CITTADINO - CONFERENZA NAZIONALE SUL WELFARE DEL PD "PERSONA, FAMIGLIA, COMUNITA'
DIRITTI DEL CITTADINO - CONFERENZA NAZIONALE SUL WELFARE DEL PD "PERSONA, FAMIGLIA, COMUNITA' ". LETTA: "TROVARE IL CORAGGIO DI CAMBIARE" BINDI: "NOI QUALCOSA PER IL WELFARE LO STAVAMO FACENDO"
(2008-11-28)
“Quella che stiamo attraversando è la più grave crisi economica e sociale della nostra vita. Nessuno di noi ha mai vissuto nulla del genere. La crisi investirà la politica, l'economia, la società. La crisi metterà in discussione il sistema di protezione sociale, le nostre certezze, il welfare italiano così come si è venuto a creare nel corso del ventesimo secolo.” Ha affermato Enrico Letta all'incontro «Persona, famiglia, comunità» verso la Conferenza Nazionale sul Welfare del Pd. Che si è tenuto ieri e oggi a Roma
Per l’onorevole Letta per uscire dalla crisi “dobbiamo trovare il coraggio di cambiare, di innovare, di riformare. L'incontro di oggi è solo l'inizio di un percorso di discussione e ascolto lungo quattro mesi che ci condurrà, in primavera, alla Conferenza nazionale per un nuovo welfare del Partito Democratico.” L’ obiettivo del Pd è costruire “un welfare moderno e riformista in grado di rispondere davvero ai nuovi bisogni e alle nuove aspettative di una società che si trasforma giorno dopo giorno.”
La Sala Fellini del Roma Eventi oggi ha visto la partecipazione di personalità che hanno offerto le loro proposte per rilanciare il lavoro e uscire dalla crisi. “Un appuntamento che apre un percorso che si articolerà nei prossimi mesi attraverso conferenze locali e territoriali e incontri tematici specifici, proprio oggi che il Governo prende decisioni importanti per il nostro paese” ha spiegato Andrea Pancani, il giornalista moderatore, nell’introdurre la prima sessione dei lavori dal titolo “Welfare formato famiglia. Società, sussidarietà, nuovi servizi”.
“Il Partito Democratico accetta la sfida lanciata dal ministro Sacconi con il Libro Verde sul Welfare. – ha sottolineato Letta nel suo intervento - Accetta ma rilancia. Non ci interessa tenere in piedi un modello mediterraneo di welfare costruito sulla centralità del maschio adulto italiano. Noi non ci accontentiamo di garantire solo chi già è garantito, ma i non tutelati dal welfare. “
“Il sistema del welfare italiano, - ha proseguito Letta - non è giusto, le disuguaglianze sono aumentate, tra il Nord e il Sud del Paese e sale il numero dei poveri. I numeri parlano chiaro. Il rapporto tra il reddito del 10% della popolazione più ricca e il 10% di quella più povera - è pari a 11,6, inferiore solo a quello di Stati Uniti e Gran Bretagna, il cui sistema di promozione sociale si fonda però sulla meritocrazia. Solo il 13,3% degli italiani nati in una famiglia di operai riesce a fare il salto sociale. Tutti gli altri - quasi 9 su 10 - devono accontentarsi. La conoscenza è garanzia di opportunità, crescita collettiva, meritocrazia. Le scelte fatte finora dal governo Berlusconi si sono concentrate prevalentemente sulla riduzione delle risorse per la scuola e per l'università. Non è la strada giusta tanto più che proprio questo governo avrà il compito di rappresentarci in Europa nella fase delicatissima in cui si negozierà un'Agenda di Lisbona 2, per rilanciare la strategia di crescita economica e sociale fondata proprio sul nesso, inscindibile, tra competitività, conoscenza e politiche sociali. Lo hanno detto in Parlamento sia Walter Veltroni sia Pierluigi Bersani: per uscire dall'emergenza sono necessari un supporto consistente alle famiglie e misure efficaci a favore delle piccole e medie imprese.”
Per Letta bisogna “cambiare in profondità il corso delle cose e incidere sulla vita concreta delle persone. Sulla famiglia, specie quella numerosa sulla quale gravano carichi sempre più insopportabili, recuperare il lavoro impostato da Rosi Bindi nella scorsa legislatura. Le famiglie che già ci sono chiedono servizi di supporto alla cura dei figli e all'assistenza degli anziani. Chiedono asili nido, flessibilità negli orari di lavoro, innovazione negli strumenti di tutela del reddito. Le famiglie che intendono formarsi hanno, invece, bisogno di stabilità, politiche abitative, promozione del ruolo della donna sul lavoro. Per entrambe le risposte giunte finora sono state insufficienti.”
“Basta fermarsi ancora sulla definizione di famiglia” ha affermato l’on. Rosi Bindi, considerandolo “uno dei problemi meno urgenti in questo momento, ed attenendosi alla definizione che ne da la Costituzione, ha proseguito “c’è la vita delle persone normali con figli e anziani, il problema non è “il diritto di andare all’asilo, che è dato a tutti, il problema è che gli asili non ci sono”. La famiglia nel nostr paese è molte cose, ha spiegato la Bindi, la crisi per prima “impatta sulle famiglie, quando la Costituzione recita ogni lavoratore deve percepire uno stipendio che permetta di vivere una vita dignitosa alla propria famiglia, in Italia ciò non sempre avviene, altra pecca, il sistema fiscale complicatissimo, la leva fiscale va ristrutturata. Il tasso lavorativo femminile italiano è il più basso in tutta Europa, le donne pagano più il precariato, e se lavorano pagano le difficoltà legate alla famiglia. I servizi per i non autosufficienti e gli anziani che implicano dei costi, sono visti come problemi, in altri paesi come la Germania sicuramente hanno dei sistemi ben diversi da quelli proposti da Sacconi nel suo Libro Verde, dove manca una visione di welfare, di stato che si fa carico dei cittadini. Il Pd deve guidare il Governo su questi punti. Le misure prese in questi giorni non vanno in questo senso, la 112, la vera finanziaria presuppone ben altro che spiccioli donati con la Social Card. Proposte innovative. – ha proseguito Bindi - Il sistema demografico sta cambiando, un detto africano ci rappresenta “un paese dove un nonno aveva 5 bambini, ora un bambino ha 5 nonni”. Ci rimproverano di non aver fatto riforme, noi qualcosa per il welfare l’abbiamo fatta, un coraggio che loro non hanno e sperperano il patrimonio per i servizi del nostro paese: il Pd forte nelle denuncie e nelle proposte. – ha concluso la Bindi - Tutte tematiche legate alla famiglia che il Governo Prodi stava affrontando, ma che per l’attuale Governo sembrano non esistere.”
“Il libro verde doveva essere il punto di avvio di un percorso, ma ci lascia perplessi per la generalità , non si vede una strategia, mancano temi come l’immigrazione, gli anziani, visti come problemi, per non parlare del terzo settore” ha spiegato Cristina De Luca, sottosegretario di stato al Ministero della Solidarietà Sociale nel secondo Governo Prodi. “Risposte parziali, quando l’Italia ha bisogno di cambiamenti, modalità, metodologie, altrimenti non si va da nessuna parte. – ha proseguito De Luca – Ripartiamo dal welfare per le persone, le donne, il lavoro, la famiglia, l’infanzia, l’impoverimento al quale si risponde con la Social Card, quando si dovrebbero chiedere di che tipo di welfare abbiamo bisogno, e riprendere alcune tematiche chiedendosi cosa significa la sussidiarietà, la legge 328 del 2000, male applicata, ha in se una rinascita, - ha concluso De Luca - rimettere in gioco il ruolo dello Stato, delle Regioni….per costruire il welfare del futuro”.
“L’impianto del centro-destra sul welfare, accentua un filo assistenzialistico ai minimi livelli – ha spiegato Anna Serafini, eletta al Senato per la circoscrizione Veneto nel secondo Governo Prodi – un impianto imprigionato in rischi e paura, dove non si vedono le opportunità dell’Occidente nel contatto con lo straniero immigrato. Bisogna agire sull’attuale crisi lavorando sul tasso di povertà minorile che ci caratterizza, che è tra i più alti, risollevare le famiglie con più figli dallo stato di povertà, realizzare quel Fondo Infanzia e Adolescenza fatto da noi, la legge 0-6 anni sull’asilo e la riduzione delle disuguaglianze sociali”.
“Una menzogna offerta a 1,3 milioni d’italiani – così ha definito la Social Card il Segretario del PD di Vercelli e capolista al collegio Piemonte 2 della Camera dei Deputati, Luigi Bobba “potevano semplicemente aumentare le pensioni o gli stipendi o… la detassazione sugli straordinari…insomma un Natale che non cambia le prospettive.” Per Bobba la natalità è sinonimo di futuro e l’Italia in questo è messa male, premiare le famiglie che investono sul futuro, e come ha ribadito Letta “non aver paura di scrivere il futuro. Bisogna prendere spunto dalla Francia sia per quel welfare formato famiglia di cui parlava Letta che per il problema dell’occupazione femminile che ha evidenziato la Bindi” ha concluso Bobba, annunciando che su quest’ultimo punto si sta lavorando su una proposta.
Dell’apporto dell’associazionismo ha parlato Gianluca Lioni, responsabile Terzo Settore Partito Democratico, spiegando che il “mondo del terzo settore ha un ruolo da protagonista nello scrivere il Welfare Italiano, perché è parte sociale lo dice la Costituzione, perché continuamente presidia l’esclusione sociale, la povertà …va incontro ai bisogni e alle necessità. La crisi mondiale ha messo in soffitta molti concetti che rendevano il sociale un impaccio, riscoperta del sociale, Obama ha vinto parlando del sociale, di distribuzioni di ricchezze. Nel mondo c’è una nuova consapevolezza, cosa impensabile anni fa. Ovviamente non agli estremismi, equilibrare i bisogni e non solo stato sociale.” Anche Lioni ha concluso con un proverbio africano che recita “per crescere un bambino non bastano due genitori ma un intero villaggio”, per dire che il cittadino ha bisogno della comunità, di sconfiggere l’egoismo, anche per sentirsi più cittadini e meno utenti”.
“Si è rotto l’equilibrio tra crescita economica e sociale – ha stigmatizzato Paolo Beni, presidente dell’Arci che reputa il Libro Verde un “grande bluff, in quanto non offre a tutti le stesse opportunità, e implica un’idea di società che chi può va avanti altrimenti riceve un po’ di carità. Innovare, spostare il baricentro dall’assistenzialismo alla prevenzione, valorizzando elementi che mettono al centro le persone e il benessere. Nella 328 c’è qualcosa da rispolverare, il nostro, il terzo settore gioca un ruolo chiave che aiuti ad affermare una diversa cultura, - conclude Beni – l’associazionismo può dare di più di quello che gli si sta chiedendo”.
Della stessa idea di Beni è Andrea Olivero, presidente delle Acli - che ha posto una domanda chiave “costo o investimento?” e ha risposto: “il welfare è un investimento, non solo un costo e non deve essere statale, inefficiente e sprecone. Di fronte alla crisi la risposta è investire , assistere, scommettere, riattivare i soggetti che vogliono scommettere sul futuro. Il welfare che fa capire che nessuno è solo nella propria scommessa, attraverso gli ammortizzatori sociali. E dallo sviluppo umano si arriverà allo sviluppo economico, ma attraverso un modello che si fa comprendere e accettare perché non si ragione su uno stato ma su una società, noi stiamo sulle dinamiche e vogliamo poter ragionare sul modello che permetta il reale funzionamento di una società democratica – ha concluso Olivero – per dare voce anche alla parte che non ascoltiamo”.
Giovanni Salvadori, assessore alla sicurezza sociale della Regione Toscana, ha spiegato “il fondo per non autosufficienza” che stanno approvando in Toscana, “legato al tema dello sviluppo. Il TAR minaccia le scelte di welfare sugli anziani, utilizzo d’indennità d’accompagnamento. Abbiamo speso 75 milioni di euro sulla disabilità, si spendiamo tanto – conclude Salvadori – ma dobbiamo spendere meglio sulla non autosufficienza. Sull’immigrazione superare il binomio immigrazione – sicurezza. I comuni italiani non sanno come chiudere i fondi sociali con il taglio di 300 milioni di euro, che in due anni diventeranno il doppio….una battaglia che dobbiamo iniziare”.
Ugo Ascoli, l’assessore alla Conoscenza, Istruzione, Formazione e Lavoro delle Marche: “il libro verde punta ad un welfare negoziale: chi non sta nelle categorie stabilite si deve accontentare…invece bisogna riprendere i 4 modelli che abbiamo costruito e la 328, rivalutati e coraggiosamente imposti. Grave il taglio del 60% alle politiche sociali, siamo in emergenza non c’è più welfare o forse non c’è mai stato, ma così non ci sarà più. Regioni e Comuni stiamo lavorando, ma dobbiamo porci obiettivi importanti. Sul libro verde non c’è mai la parola cittadino, ma solo persona da aiutare se lo merita, altrimenti se la vedano da soli”.
Mario Sberna, fondatore e presidente dell' Associazione nazionale famiglie numerose ha affermato che bisogna partire "chi fatica ed è succube di ingiustizie. Ringiovanire questo paese anziano con strumenti di coraggio. Sentire la voce del futuro del nostro paese: la voce dei nostri figli". (28/11/2008-ITL/ITNET)
(2008-11-28)
“Quella che stiamo attraversando è la più grave crisi economica e sociale della nostra vita. Nessuno di noi ha mai vissuto nulla del genere. La crisi investirà la politica, l'economia, la società. La crisi metterà in discussione il sistema di protezione sociale, le nostre certezze, il welfare italiano così come si è venuto a creare nel corso del ventesimo secolo.” Ha affermato Enrico Letta all'incontro «Persona, famiglia, comunità» verso la Conferenza Nazionale sul Welfare del Pd. Che si è tenuto ieri e oggi a Roma
Per l’onorevole Letta per uscire dalla crisi “dobbiamo trovare il coraggio di cambiare, di innovare, di riformare. L'incontro di oggi è solo l'inizio di un percorso di discussione e ascolto lungo quattro mesi che ci condurrà, in primavera, alla Conferenza nazionale per un nuovo welfare del Partito Democratico.” L’ obiettivo del Pd è costruire “un welfare moderno e riformista in grado di rispondere davvero ai nuovi bisogni e alle nuove aspettative di una società che si trasforma giorno dopo giorno.”
La Sala Fellini del Roma Eventi oggi ha visto la partecipazione di personalità che hanno offerto le loro proposte per rilanciare il lavoro e uscire dalla crisi. “Un appuntamento che apre un percorso che si articolerà nei prossimi mesi attraverso conferenze locali e territoriali e incontri tematici specifici, proprio oggi che il Governo prende decisioni importanti per il nostro paese” ha spiegato Andrea Pancani, il giornalista moderatore, nell’introdurre la prima sessione dei lavori dal titolo “Welfare formato famiglia. Società, sussidarietà, nuovi servizi”.
“Il Partito Democratico accetta la sfida lanciata dal ministro Sacconi con il Libro Verde sul Welfare. – ha sottolineato Letta nel suo intervento - Accetta ma rilancia. Non ci interessa tenere in piedi un modello mediterraneo di welfare costruito sulla centralità del maschio adulto italiano. Noi non ci accontentiamo di garantire solo chi già è garantito, ma i non tutelati dal welfare. “
“Il sistema del welfare italiano, - ha proseguito Letta - non è giusto, le disuguaglianze sono aumentate, tra il Nord e il Sud del Paese e sale il numero dei poveri. I numeri parlano chiaro. Il rapporto tra il reddito del 10% della popolazione più ricca e il 10% di quella più povera - è pari a 11,6, inferiore solo a quello di Stati Uniti e Gran Bretagna, il cui sistema di promozione sociale si fonda però sulla meritocrazia. Solo il 13,3% degli italiani nati in una famiglia di operai riesce a fare il salto sociale. Tutti gli altri - quasi 9 su 10 - devono accontentarsi. La conoscenza è garanzia di opportunità, crescita collettiva, meritocrazia. Le scelte fatte finora dal governo Berlusconi si sono concentrate prevalentemente sulla riduzione delle risorse per la scuola e per l'università. Non è la strada giusta tanto più che proprio questo governo avrà il compito di rappresentarci in Europa nella fase delicatissima in cui si negozierà un'Agenda di Lisbona 2, per rilanciare la strategia di crescita economica e sociale fondata proprio sul nesso, inscindibile, tra competitività, conoscenza e politiche sociali. Lo hanno detto in Parlamento sia Walter Veltroni sia Pierluigi Bersani: per uscire dall'emergenza sono necessari un supporto consistente alle famiglie e misure efficaci a favore delle piccole e medie imprese.”
Per Letta bisogna “cambiare in profondità il corso delle cose e incidere sulla vita concreta delle persone. Sulla famiglia, specie quella numerosa sulla quale gravano carichi sempre più insopportabili, recuperare il lavoro impostato da Rosi Bindi nella scorsa legislatura. Le famiglie che già ci sono chiedono servizi di supporto alla cura dei figli e all'assistenza degli anziani. Chiedono asili nido, flessibilità negli orari di lavoro, innovazione negli strumenti di tutela del reddito. Le famiglie che intendono formarsi hanno, invece, bisogno di stabilità, politiche abitative, promozione del ruolo della donna sul lavoro. Per entrambe le risposte giunte finora sono state insufficienti.”
“Basta fermarsi ancora sulla definizione di famiglia” ha affermato l’on. Rosi Bindi, considerandolo “uno dei problemi meno urgenti in questo momento, ed attenendosi alla definizione che ne da la Costituzione, ha proseguito “c’è la vita delle persone normali con figli e anziani, il problema non è “il diritto di andare all’asilo, che è dato a tutti, il problema è che gli asili non ci sono”. La famiglia nel nostr paese è molte cose, ha spiegato la Bindi, la crisi per prima “impatta sulle famiglie, quando la Costituzione recita ogni lavoratore deve percepire uno stipendio che permetta di vivere una vita dignitosa alla propria famiglia, in Italia ciò non sempre avviene, altra pecca, il sistema fiscale complicatissimo, la leva fiscale va ristrutturata. Il tasso lavorativo femminile italiano è il più basso in tutta Europa, le donne pagano più il precariato, e se lavorano pagano le difficoltà legate alla famiglia. I servizi per i non autosufficienti e gli anziani che implicano dei costi, sono visti come problemi, in altri paesi come la Germania sicuramente hanno dei sistemi ben diversi da quelli proposti da Sacconi nel suo Libro Verde, dove manca una visione di welfare, di stato che si fa carico dei cittadini. Il Pd deve guidare il Governo su questi punti. Le misure prese in questi giorni non vanno in questo senso, la 112, la vera finanziaria presuppone ben altro che spiccioli donati con la Social Card. Proposte innovative. – ha proseguito Bindi - Il sistema demografico sta cambiando, un detto africano ci rappresenta “un paese dove un nonno aveva 5 bambini, ora un bambino ha 5 nonni”. Ci rimproverano di non aver fatto riforme, noi qualcosa per il welfare l’abbiamo fatta, un coraggio che loro non hanno e sperperano il patrimonio per i servizi del nostro paese: il Pd forte nelle denuncie e nelle proposte. – ha concluso la Bindi - Tutte tematiche legate alla famiglia che il Governo Prodi stava affrontando, ma che per l’attuale Governo sembrano non esistere.”
“Il libro verde doveva essere il punto di avvio di un percorso, ma ci lascia perplessi per la generalità , non si vede una strategia, mancano temi come l’immigrazione, gli anziani, visti come problemi, per non parlare del terzo settore” ha spiegato Cristina De Luca, sottosegretario di stato al Ministero della Solidarietà Sociale nel secondo Governo Prodi. “Risposte parziali, quando l’Italia ha bisogno di cambiamenti, modalità, metodologie, altrimenti non si va da nessuna parte. – ha proseguito De Luca – Ripartiamo dal welfare per le persone, le donne, il lavoro, la famiglia, l’infanzia, l’impoverimento al quale si risponde con la Social Card, quando si dovrebbero chiedere di che tipo di welfare abbiamo bisogno, e riprendere alcune tematiche chiedendosi cosa significa la sussidiarietà, la legge 328 del 2000, male applicata, ha in se una rinascita, - ha concluso De Luca - rimettere in gioco il ruolo dello Stato, delle Regioni….per costruire il welfare del futuro”.
“L’impianto del centro-destra sul welfare, accentua un filo assistenzialistico ai minimi livelli – ha spiegato Anna Serafini, eletta al Senato per la circoscrizione Veneto nel secondo Governo Prodi – un impianto imprigionato in rischi e paura, dove non si vedono le opportunità dell’Occidente nel contatto con lo straniero immigrato. Bisogna agire sull’attuale crisi lavorando sul tasso di povertà minorile che ci caratterizza, che è tra i più alti, risollevare le famiglie con più figli dallo stato di povertà, realizzare quel Fondo Infanzia e Adolescenza fatto da noi, la legge 0-6 anni sull’asilo e la riduzione delle disuguaglianze sociali”.
“Una menzogna offerta a 1,3 milioni d’italiani – così ha definito la Social Card il Segretario del PD di Vercelli e capolista al collegio Piemonte 2 della Camera dei Deputati, Luigi Bobba “potevano semplicemente aumentare le pensioni o gli stipendi o… la detassazione sugli straordinari…insomma un Natale che non cambia le prospettive.” Per Bobba la natalità è sinonimo di futuro e l’Italia in questo è messa male, premiare le famiglie che investono sul futuro, e come ha ribadito Letta “non aver paura di scrivere il futuro. Bisogna prendere spunto dalla Francia sia per quel welfare formato famiglia di cui parlava Letta che per il problema dell’occupazione femminile che ha evidenziato la Bindi” ha concluso Bobba, annunciando che su quest’ultimo punto si sta lavorando su una proposta.
Dell’apporto dell’associazionismo ha parlato Gianluca Lioni, responsabile Terzo Settore Partito Democratico, spiegando che il “mondo del terzo settore ha un ruolo da protagonista nello scrivere il Welfare Italiano, perché è parte sociale lo dice la Costituzione, perché continuamente presidia l’esclusione sociale, la povertà …va incontro ai bisogni e alle necessità. La crisi mondiale ha messo in soffitta molti concetti che rendevano il sociale un impaccio, riscoperta del sociale, Obama ha vinto parlando del sociale, di distribuzioni di ricchezze. Nel mondo c’è una nuova consapevolezza, cosa impensabile anni fa. Ovviamente non agli estremismi, equilibrare i bisogni e non solo stato sociale.” Anche Lioni ha concluso con un proverbio africano che recita “per crescere un bambino non bastano due genitori ma un intero villaggio”, per dire che il cittadino ha bisogno della comunità, di sconfiggere l’egoismo, anche per sentirsi più cittadini e meno utenti”.
“Si è rotto l’equilibrio tra crescita economica e sociale – ha stigmatizzato Paolo Beni, presidente dell’Arci che reputa il Libro Verde un “grande bluff, in quanto non offre a tutti le stesse opportunità, e implica un’idea di società che chi può va avanti altrimenti riceve un po’ di carità. Innovare, spostare il baricentro dall’assistenzialismo alla prevenzione, valorizzando elementi che mettono al centro le persone e il benessere. Nella 328 c’è qualcosa da rispolverare, il nostro, il terzo settore gioca un ruolo chiave che aiuti ad affermare una diversa cultura, - conclude Beni – l’associazionismo può dare di più di quello che gli si sta chiedendo”.
Della stessa idea di Beni è Andrea Olivero, presidente delle Acli - che ha posto una domanda chiave “costo o investimento?” e ha risposto: “il welfare è un investimento, non solo un costo e non deve essere statale, inefficiente e sprecone. Di fronte alla crisi la risposta è investire , assistere, scommettere, riattivare i soggetti che vogliono scommettere sul futuro. Il welfare che fa capire che nessuno è solo nella propria scommessa, attraverso gli ammortizzatori sociali. E dallo sviluppo umano si arriverà allo sviluppo economico, ma attraverso un modello che si fa comprendere e accettare perché non si ragione su uno stato ma su una società, noi stiamo sulle dinamiche e vogliamo poter ragionare sul modello che permetta il reale funzionamento di una società democratica – ha concluso Olivero – per dare voce anche alla parte che non ascoltiamo”.
Giovanni Salvadori, assessore alla sicurezza sociale della Regione Toscana, ha spiegato “il fondo per non autosufficienza” che stanno approvando in Toscana, “legato al tema dello sviluppo. Il TAR minaccia le scelte di welfare sugli anziani, utilizzo d’indennità d’accompagnamento. Abbiamo speso 75 milioni di euro sulla disabilità, si spendiamo tanto – conclude Salvadori – ma dobbiamo spendere meglio sulla non autosufficienza. Sull’immigrazione superare il binomio immigrazione – sicurezza. I comuni italiani non sanno come chiudere i fondi sociali con il taglio di 300 milioni di euro, che in due anni diventeranno il doppio….una battaglia che dobbiamo iniziare”.
Ugo Ascoli, l’assessore alla Conoscenza, Istruzione, Formazione e Lavoro delle Marche: “il libro verde punta ad un welfare negoziale: chi non sta nelle categorie stabilite si deve accontentare…invece bisogna riprendere i 4 modelli che abbiamo costruito e la 328, rivalutati e coraggiosamente imposti. Grave il taglio del 60% alle politiche sociali, siamo in emergenza non c’è più welfare o forse non c’è mai stato, ma così non ci sarà più. Regioni e Comuni stiamo lavorando, ma dobbiamo porci obiettivi importanti. Sul libro verde non c’è mai la parola cittadino, ma solo persona da aiutare se lo merita, altrimenti se la vedano da soli”.
Mario Sberna, fondatore e presidente dell' Associazione nazionale famiglie numerose ha affermato che bisogna partire "chi fatica ed è succube di ingiustizie. Ringiovanire questo paese anziano con strumenti di coraggio. Sentire la voce del futuro del nostro paese: la voce dei nostri figli". (28/11/2008-ITL/ITNET)
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