domenica 14 settembre 2008

Bindi: «Ora nel Pd ci vuole collegialità»

«Ho visto a Firenze un Pd rinfrancato. E ho percepito di nuovo quella sintonia con la nostra gente che si sentiva in campagna elettorale. Ecco, da qui possiamo ripartire. La botta è stata pesante e ci abbiamo messo tempo ad elaborare il lutto. Anche per Veltroni è stata dura: qualcuno dubitava persino che avesse intenzione di proseguire. Ma la leadership c'è».


Rosy Bindi non la chiama «tregua», però il suo giudizio positivo sulle conclusioni della Festa fiorentina muove proprio dalla convinzione che sia possibile un nuovo patto tra Veltroni, il grosso del gruppo dirigente e il partito che sta aprendo le iscrizioni. «La polemica di queste settimane ha toccato punte laceranti. Alcune critiche potevano essere evitate. Ma restiamo un partito plurale. E mi aspetto che il segretario voglia tenere il timone in modo autorevole e senza mortificare il pluralismo interno. Altrimenti perché ci chiamiamo democratici?»


In un partito democratico però anche la leadership può essere messa in discussione.
«Ma che senso avrebbe una resa dei conti tra leader in nuove primarie? Invece di uscire dal modello berlusconiano di partito ne resteremmo prigionieri. Dobbiamo ripartire da Veltroni, da noi tutti, dai cittadini delle primarie a cui stiamo chiedendo di prendere la tessera. A Firenze non abbiamo risolto tutti i nostri problemi. Ma sappiamo che per costruire un alternativa alla destra ci vuole una maratona, non una gara dei 100 metri».


È la sua risposta a Parisi?
«Parisi ha deciso di esprimere una critica estrema. Non la condivido, però nel partito c'è. A Parisi purtroppo si può solo rispondere con un sì o con un no. Comunque, l'esigenza di una maggiore collegialità nel partito resta».


Cosa vuol dire collegialità? Come tenere insieme le critiche quando hanno un segno opposto?
«Non entro negli organigrammi, ma bisogna trovare il modo per rispondere positivamente alla domanda di collegialità. C'è l'esigenza di affinare la nostra opposizione, elaborare un progetto culturale e politico chiaro e condiviso. Non basta dire che Di Pietro sbaglia: dobbiamo essere capaci di costruire un'alternativa programmatica forte al governo di destra. Per questo bisogna innovare, preparare una classe dirigente più giovane, ma coinvolgere nell'impresa tutte le personalità più autorevoli è un atto di saggezza».


Lei condivide la prospettiva di un'alleanza con l'Udc?
«Il Pd dovrà sperimentare alle prossime amministrative diversi modelli di alleanze, ferma restando la coerenza dei programmi. Non avrebbe senso però guardare solo nella direzione dell'Udc. Sarebbe uno snaturamento del Pd. Non condivido l'insistenza di Enrico Letta su questo punto. E non comprendo neppure la strategia di Rutelli, che combina i segnali all'Udc con posizioni teo-dem non compatibili con la cultura cattolica-democratica. Su questo il Pd deve dire una parola chiara, e anche sul giornale Europa che lo supporta».


Anche la ferita di Prodi è ancora viva. E le recenti intercettazioni hanno aggravato la piaga.
«Ero contraria, allora, all'elezione diretta del segretario del Pd. Era chiaro che il dualismo Veltroni-Prodi non avrebbe fatto bene al governo. Ho sempre detto che il discorso del Lingotto si presentava in alternativa al programma di governo. E avrei voluto che Prodi fosse ancora presidente del Pd. Resterà il dissenso sul passato. Ma bisogna guardare al futuro. E su un punto le parole di Prodi sono irrinunciabili: il Pd deve essere il compimento dell'Ulivo. Deve avere un carattere aperto, inclusivo, ma al tempo stesso deve costruire una unità programmatica andando oltre le vecchie identità. Altrimenti avrà la meglio chi immagina il Pd come la semplice somma dei Ds e della Margherita, o peggio come l'ultima evoluzione della sinistra italiana».

di Claudio Sardo - da Il Messaggero

Nessun commento:

" Il primo compito del Partito Democratico deve essere quello di restituire credibilità alla politica". Rosy Bindi