sabato 3 ottobre 2009

Le quote rosa sono necessarie, ma che "fallimento della politica"

di Nicola Persico (www.lavoce.info)

Una recente decisione del Tar impone la modifica della giunta provinciale di Taranto perché la sua composizione, oggi tutta al maschile, viola lo Statuto della provincia, secondo cui “il presidente nomina i componenti della giunta, (...) così da assicurare la presenza di entrambi i sessi”.
La decisione del Tar è ineccepibile: la legge è legge, e la giunta di Taranto va modificata. Però il caso solleva due questioni generali: 1) se imporre quote rosa in politica sia bene o male; 2) come mai le quote rosa siano necessarie, cioè quale “fallimento della politica” renda necessario un intervento ad hoc.
Identità e merito - Sulla prima questione, il ministro Carfagna ha optato per un doppio carpiato dialettico: “Un buon amministratore, un politico attento, dovrebbe (...) garantire un'adeguata rappresentanza della componente femminile in ciascun organismo, a prescindere dalle quote rosa alle quali sono sempre stata contraria. Se questa sensibilità viene a mancare, (...), ben venga un intervento del Tar a rimettere le cose a posto”. (2) In altre prole, il ministro è categoricamente contraria alle quote rosa tranne, perbacco, quando vi sono troppe poche donne. Questo sofisma fa sorridere. Ma noi, semplici cittadini senza responsabilità istituzionali, come dobbiamo orientarci?
La risposta non è scontata. In generale, sono molto diffidente verso quote di qualsiasi colore perché mandano il messaggio sbagliato: che il merito non conta e che la strada verso il successo è di soffiare sul fuoco della “politica delle identità”. Gli Stati Uniti, con una ben diversa eredità di discriminazione, sono andati per questa strada. Ma se negli Usa il criterio del merito è ampiamente condiviso e dunque può sopravvivere a eccezioni occasionali, in Italia lo è meno, e perciò dovremmo stare ancora più attenti a intervenire in processi che hanno una loro efficienza interna.
In questo caso, però, si può ragionevolmente argomentare che il processo politico che opera nella formazione di una giunta provinciale in Italia non è necessariamente un processo orientato verso l’efficienza. Sospetto che molti italiani sosterrebbero che rimpiazzare alcuni consiglieri con altre persone, chiunque esse siano, non sarebbe fatale per l’efficienza delle province. Se i rimpiazzi sono donne, ben venga.
Questo argomento è incompleto. Molti dei nostri consiglieri provinciali sono sicuramente validi e, soprattutto, sono stati eletti anche dalle donne, che infatti votano circa quanto gli uomini. Bisogna quindi essere più riflessivi. Bisogna prima argomentare che i consiglieri donne si comporterebbero in maniera diversa dagli uomini, e poi spiegare perché allora le donne non sono elette.
Perché poche donne in politica - Sul primo punto ci viene in aiuto un interessante studio di Ebonya Washington, dell’università di Yale. Lo studio dimostra che i membri del Congresso Usa, per lo più uomini, votano più frequentemente a favore della libertà di scelta riproduttiva (cioè dell’aborto) quando hanno una maggiore percentuale di figlie femmine. Siccome la percentuale di figlie femmine è presumibilmente indipendente dall’orientamento politico, l’interpretazione è che avere piu’ figlie femmine sensibilizza i padri alle problematiche femminili. (3) Lo studio dimostra rigorosamente ciò che il buon senso suggerisce: che un politico fa proprie, almeno in parte, le preferenze del suo gruppo di riferimento. E dunque, se l’esperienza del Congresso Usa è rilevante per la realtà italiana, i consiglieri donne si comporterebbero in maniera diversa dagli uomini, almeno in certe dimensioni.
Ma se le donne in politica sono diverse dagli uomini, perché allora la polis non riesce a esprimere le prospettive femminili attraverso il normale processo elettorale? Se queste prospettive sono popolari, quali forze impediscono alle donne di eccellere nell’agone elettorale?
Il presidente della provincia di Taranto suggerisce una risposta: dichiara che, nel suo caso, le indicazioni dei partiti non comprendevano donne. Se ciò è vero, allora la mancanza di donne in politica riflette un fenomeno più profondo e forse indica un “fallimento della politica”: i partiti interpongono un filtro fra le preferenze degli elettori e i politici che finiscono per essere eletti. In Italia, come in molti altri paesi, i votanti possono eleggere solo chi è ammesso nelle liste di partito. Il controllo delle liste ha effetti molto profondi sul tipo di personale politico che le nostre polis riescono a esprimere.
Secondo questa prospettiva, la scarsità di donne in politica è sintomo di una politica che non rappresenta le preferenze degli elettori. Sarebbe bello e utile che la grancassa sulle quote rosa in politica si trasformasse in una occasione per dibattere questo “fallimento della politica” riconoscendone i profondi effetti sulle politiche che vengono attuate e magari per pensare a opportuni interventi sulle strutture interne dei partiti.
Insomma, in politica le quote rose sono sicuramente meno peggio che in altri settori e magari possono essere anche utili. Ma meglio sarebbe allargare il dibattito alla capacità dei partiti di riflettere le preferenze dei votanti.

(1) - Lo statuto della provincia accoglie una norma del Testo unico sull’ordinamento degli enti locali per cui “gli statuti comunali e provinciali stabiliscono norme [...] per promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia [...]”. La norma stabilisce un fine, ma non specifica come perseguirlo. Lo statuto provinciale di Taranto ha accolto una interpretazione forte, da “quote rosa” del Testo unico.
(2) - “A Taranto il Tar azzera la giunta senza donne” di Laura Squillaci, Il Sole 24Ore del 25 settembre 2009.
(3) - "Female Socialization: How Daughters Affect Their Legislator Fathers' Voting on Women's Issues," American Economic Review, 2008, 98, 1, 311-332.
01 ottobre 2009

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