venerdì 24 luglio 2009

“Non sono un santo/a”

Nemmeno io "sono una santa" e nemmeno ambisco ad esserla,mi sforzo di essere soltanto una donna di buon senso e nei limiti del possibile saggia......Buona lettura.
A presto. Silvia

"“Non sono un santo”

Non sono un santo. Chi non potrebbe confessare la stessa cosa? Chi potrebbe pensare il contrario di sé e degli altri? La Chiesa ci insegna che ognuno, quando si presenta davanti a Dio, deve confessare con sincerità di non essere un santo, anzi, precisamente di essere un peccatore bisognoso di perdono e di conversione. È regola generale di ogni religione che non ci si presenti davanti a Dio e alla comunità dei credenti se non nella forma dell’umiltà a capo chino, come il pubblicano di cui parla il Vangelo, che rimane in fondo al tempio e si batte il petto, e non come il fariseo che si mette in prima fila e osserva gli altri dall’alto in basso. Quindi va molto bene riconoscere anche pubblicamente di non essere un santo.
Ma se la frase viene detta sorridendo, alludendo e ammiccando alle “tante belle figliole” che ci sono in giro, è evidente che la frase assume un significato diverso, come un’auto-legittimazione di comportamenti quanto meno disinvolti.
Il rischio che dalla disinvoltura si passi poi alla vera e propria trasgressione deve essere messo in conto. Anche perché tutti siamo portati a legittimare le piccole o grandi licenze morali. E ciò avviene anche per quel clima culturale in cui tutto è ammesso meno il cosiddetto moralismo. Questo è considerato uno dei più disprezzati atteggiamenti che la società permissiva rifiuta. Meglio il libertino, il trasgressivo che il moralista, descritto spesso come un bieco bacchettone che riprende i costumi sociali per un vago sentimento di perbenismo più o meno ipocrita e retrivo. Anche alcuni predicatori à la page, quando svolgono i loro sermoni, ci tengono a specificare “non voglio fare del moralismo”.
Storie simili, di strane derive semantiche (di significato) sono accadute a termini come perbenismo e buonismo. C’è da vergognarsi a essere perbenisti o tanto peggio se buonisti. Bisogna essere machi e forti, decisi, senza pietà, duri, menefreghisti, indifferenti al bigottismo dei baciapile e al pietismo dei cuori compassionevoli. In fondo “non siamo santi”, e quindi viviamo in pace. Un bicchiere di birra in mano fino alle 4 di notte, un cocktail di alcolici alle 6 del pomeriggio con patatine, amici ed amichette, incontri ravvicinati facili e multipli di giorno e di notte. Così va il mondo e nessuno lo frena.
Ora, se uno critica la critica al moralismo, al perbenismo e al buonismo non può che essere di quella risma, diranno i lettori: un bieco e subdolo moralista. Ma, piano, un momento. Non potrebbe esserci una terza via? Quella della ragione, della riflessione sulla realtà che ci circonda?
La famosa deregulation, che significa allentare o togliere le regole del mercato e della finanza, ha portato alla crisi finanziaria ed economica catastrofica. Gli psicologi e i pedagogisti parlano dei limiti che si devono porre e i no che si devono dire ai ragazzi e ai giovani per aiutarli a crescere. I medici insegnano, magari agli altri, di astenersi da droghe, alcol, fumo per risparmiare anni di vita e danni alla società. Si potrebbe continuare sul filo della ragione, magari di quella stoica, per non tirare in ballo la religione cristiana che suscita diffuse allergie nella tollerante società dei libertini indifferenti.
Non siamo santi, né perbenisti, né buonisti, ma un pizzico di buon senso e di saggezza non dovrebbe mancare, almeno in chi sta sopra un piedistallo mediatico in bella vista, senza neppure un pizzico di pudore."

Fonte: La Voce
Elio Bromuri

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