mercoledì 23 giugno 2010
QUI EMILY: BUON LAVORO MARIA RITA!
Soddisfazione di Emily Umbria per la riconferma di Maria Rita Paggio a Segretaria della CGIL di Orvieto
Soddisfazione dell'associazione Emily in Italia Umbria per la riconferma dell’ incarico di responsabile della CGIL di Orvieto conferito alla consocia Maria Rita Paggio, incarico scaturito alla III° Assemblea Congressuale di Zona della Camera del Lavoro di Orvieto.
"Nell' augurare a Maria Rita buon lavoro - affermano la Presidente Silvia Fringuello e le socie dell'associazione - siamo certe, come donne impegnate trasversalmente per l'affermazione dei valori e della cultura del centro sinistra, che saprà ancora dare il suo miglior contributo e infondervi passione e rigore, forte della sua esperienza e delle sue comprovate competenze e, non ultimo, dell'umanità e della capacità di relazione che ha sempre prodigato nella sua azione sindacale, di difesa e rispetto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori”. La speranza è che possa contribuire, nell’attuale contesto economico del nostro territorio, provato dalla crisi, alla costruzione di una nuova e positiva fase di sviluppo e di salvaguardia dell’occupazione. Emily in Italia Umbria è pronta ad assicurare a Maria Rita collaborazione e sostegno, nella profonda convinzione, mutuata dallo Statuto e dalle specifiche finalità dell'associazione, che quante più donne saranno presenti nelle istituzioni e nei partiti, particolarmente in ruoli dirigenziali, tanto più la gestione del potere politico-sociale riuscirà ad avvicinarsi, con capacità propositiva e concretezza, alla società e alla vita di ogni giorno.
martedì 22 giugno 2010
UMBRIA: 2009 INDICATORI ECONOMICI A PICCO
L'andamento dell'economia umbra, già negativo nel 2008, è ulteriormente peggiorato nella prima parte del 2009, toccando il minimo storico nel corso del secondo trimestre. Nonostante il successivo lieve recupero dell'attività economica, segnalato dai giudizi sugli ordini degli imprenditori, il 2009 si è chiuso con un calo significativo di tutti i principali indicatori.
Secondo le valutazioni di Prometeia, il prodotto regionale sarebbe diminuito del 4,5 per cento, leggermente meno della media nazionale. Era già sceso nel 2008 (-1,7 per cento). Le indagini condotte dalla Banca d'Italia nei mesi di marzo e aprile indicano che solo la metà delle imprese che hanno sofferto un calo del fatturato (sono tre su quattro tra quelle interpellate) ritengono possibile il ritorno delle vendite ai livelli pre-crisi entro il 2012. Oltre alla debolezza della domanda interna, ha inciso pesantemente la diminuzione delle esportazioni, ridotte di quasi un quarto rispetto all'anno precedente. Ne è risultata l'estensione della crisi anche a comparti solo marginalmente colpiti nel 2008.
La minore domanda ha indotto le imprese a contenere sensibilmente il livello della produzione, riducendo l'input di lavoro e l'intensità di sfruttamento degli impianti. Gli ampi margini di capacità produttiva inutilizzati hanno contribuito, insieme alle incertezze sui tempi della ripresa, al forte calo degli investimenti, testimoniato anche dalla bassa domanda di credito connessa con l'acquisto di immobili e macchinari, a fronte di criteri di offerta il cui inasprimento è andato attenuandosi nel corso dell'anno, soprattutto nei confronti delle aziende finanziariamente più solide.
Nonostante il massiccio ricorso alla Cassa integrazione guadagni (anche straordinaria), il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 6,7 per cento dal 4,8 per cento del 2008. Nel 2009 l'occupazione è diminuita del 2,6 per cento, facendo registrare un calo superiore alla media italiana. In Umbria, inoltre, diversamente da quanto rilevato a livello nazionale, al calo del numero complessivo degli occupati (circa 10 mila persone in meno) si è associato un aumento dell'incidenza dei lavoratori a tempo determinato o parziale, che rappresentano ormai più del 25 per cento del totale.
Il deterioramento delle condizioni sul mercato del lavoro ha pesato sul clima di fiducia e sulla capacità di spesa delle famiglie. Pur in presenza di tassi d'interesse storicamente bassi, è rimasta debole la richiesta di mutui per l'acquisto delle abitazioni, erogati soprattutto a tasso variabile. Ne hanno risentito le imprese dell'edilizia, per le quali il calo della produzione è stato particolarmente marcato.
La crescita dei prestiti complessivi ha rallentato, su base annua, dal 6,8 per cento del 2008 all'1,2 del 2009; a fine anno i prestiti alle famiglie erano in aumento del 4,0 per cento, mentre il volume dei finanziamenti alle imprese era in calo dello 0,2 per cento. Il flusso di nuove posizioni a sofferenza ha accelerato dall'1,5 al 2,2 per cento e l'aggregato ha raggiunto il 4,9 per cento dei prestiti.
Fonte: www.bancaditalia.it
Fonte imaggine:becommerciale.it/tag/servizi/
martedì 8 giugno 2010
“EMILY IN ITALIA UMBRIA CRESCE……”
Il Consiglio Comunale di Terni ha approvato all'unanimità il rinnovo dell’assemblea del Centro Pari Opportunità, anche l’associazione Emily in Italia Umbria ne fa parte. Sono 25 le donne di diritto, ovvero le elette nel Consiglio Comunale di Terni e nei consigli di circoscrizione ed altre 25 scelte tra le donne proposte dal sistema delle associazioni e delle categorie.
Le domande presentate per i 25 posti a disposizione, erano state complessivamente 49. La decisione unanime dell'assemblea municipale di palazzo Spada, è stata salutata con piacere dal Presidente Giorgio Finocchio.
Ad essere eletta in rappresentanza dell’associazione è la socia Cristina Proietti Barsanti, una donna imprenditrice, impegnata nella politica e nel volontariato: è dirigente del Partito Democratico, è stata consigliera di circoscrizione del Comune di Terni, fa parte del Comitato Imprenditorialità Femminile della Camera di Commercio di Terni, svolge attività di volontariato nell’ UNITALSI.
Inoltre Emily, come previsto dal proprio statuto, ha rinnovato le proprie cariche elettive, il direttivo, la Presidente e la Vice Presidente: Donatella Belcapo (Vice Presidente) imprenditrice e consigliera comunale al comune di Orvieto, Maria Graziella Corradini (direttivo) artigiana e vice sindaco al Comune di Monteleone, Silvia Fringuello (Presidente) lavoratrice autonoma – settore servizi e dirigente della direzione regionale del PD, Maria Rita Paggio (direttivo) segretaria della CGIL di Orvieto, Cecilia Stopponi (direttivo) lavoratrice autonoma – settore servizi, consigliera comunale al Comune di Orvieto e segretaria del circolo di Orvieto del partito della Rifondazione Comunista.
Le socie di Emily, certe dell’impegno fin ad oggi profuso per il raggiungimento dello scopo dell’associazione,"di promuovere e sostenere l’affermazione dell’autonomia culturale, professionale e politica delle donne nell’ambito dell’area di centro-sinistra al fine di accrescere la partecipazione e la presenza delle donne nelle istituzioni, di fornire sostegno culturale, a titolo consultivo, alle elette o titolari di incarichi politici e di promuovere e sostenere la creazione di una rete tra donne che svolgono attività diverse in ambito professionale, culturale e politico finalizzata allo scambio di esperienze e alla valorizzazione delle singole competenze," esprimono grande soddisfazione per l’elezione della loro associata Cristina in seno all’assemblea del Centro delle Pari Opportunità del Comune di Terni e le augurano di cuore un buon lavoro e danno mandato e sostegno al nuovo direttivo affinché l’associazione possa continuare a crescere ed affermare i propri obiettivi.
Orvieto lì 08 giugno 2010
La Presidente
Silvia Fringuello
domenica 6 giugno 2010
TREMONTI: " TUTTA L'EUROPA ADOTTA MANOVRE..." E' QUESTA LA VERITA' ?
Tremonti all'ulitma puntata di Annozero rispondeva al quesito di Bersani: "I nostri conti stanno a posto,l'ho detto prima e lo ripeto adesso, ma in tutta Europa si adottano manovre come la nostra,con gli stessi criteri,lo abbiamo deciso insieme..." e non spiegava le motivazioni di questa ulteriore "mazzata" agli italiani. Forse questa è la verità......
A presto. Silvia
DI OLGA CHETVERIKOVA
en.fondsk.ru
Il gruppo Bilderberg si riunirà dal 4 al 7 giugno a Sitges (nella foto), una località turistica a 30 km da Barcellona. Come al solito, le informazioni al riguardo ci vengono fornite da James Tucker e Daniel Estulin i quali hanno rivelato che in cima all’agenda del meeting di quest’anno c'è la recessione globale e le proposte per l’elaborazione di collassi economici che possano giustificare l’istituzione di una governance economica di portata mondiale.
Con l’intenzione di prolungare la crisi economica per almeno un altro anno, il gruppo Bilderberg spera di poter trarre vantaggio dalla situazione per poter formare un “ministero della finanza globale” all’interno dell’ONU. Sebbene la decisione fosse in realtà stata presa l’anno scorso nel meeting tenuto in Grecia, Tucker sostiene che il piano è stato affondato dai “nazionalisti statunitensi ed europei (il gruppo Bilderberg indica genericamente come “nazionalisti” tutte le forze con orientamenti nazionali che abbracciano l’idea di sovranità e indipendenza nazionale)
Per un anno intero, fin dall’ultimo incontro, i rappresentanti dell’esecutivo globale hanno cercato di convincere il pubblico del mondo ad accettare un “nuovo ordine finanziario”. L’idea è comparsa in dichiarazioni fatte da N.Sarkozy, G.Brown e dall’appena eletto Presidente del Consiglio europeo H. Van Rompuy, ma – sullo sfondo di una fase relativamente indolore della crisi – quest’attività è rimasta limitata a condizionamenti psicologici senza risvolti pratici. Come Jacques Attali ha, piuttosto ragionevolmente, descritto nel suo After the Crisis l’Europa non può pretendere di riformare l’architettura della finanza globale finché non si sarà fornita delle istituzioni necessarie per soddisfare i propri bisogni.
La crisi del debito greco che sta mettendo a repentaglio il sistema finanziario europeo fornisce un pretesto per misure drastiche, e sia la crisi che le misure illustrano chiaramente la strategia che ricorre al caos per riordinare gli accordi esistenti. Il caos generato in maniera deliberata è rigorosamente controllato da istituzioni finanziarie, le grandi banche e hedge funds e funziona come un efficiente meccanismo di governance e di ristrutturazione sociale.
L’attacco finanziaro alla Grecia si è prontamente trasformato in offensiva contro l’euro e, come è diventato via via più chiaro, gli sviluppi sono solo parzialmente correlati ai difetti dell’economia greca. L’intensità della crisi che ha momentaneamente costituito una minaccia per l’integrità economica e perfino politica della UE, non può essere spiegata esclusivamente dagli appetiti di sfacciati giocatori finanziari. Ci dovevano essere cause più serie dietro la situazione e in un certo qual modo gli obiettivi perseguiti da coloro che l’hanno creata possono essere capiti dalle dichiarazioni di G. Soros. In altre parole gli europei sono costretti a scegliere tra il collasso dell’eurozona e la centralizzazione della governance.
Jacques Attali ha delineato uno specifico piano di centralizzazione. In esso si suggerisce ai paesi della UE di creare istituzioni proprie per monitorare le attività degli operatori finanziari. Vi si propone anche l’istituzione di un ente di credito europeo di nuova formazione che non essendo legato alle banche centrali e di investimento europee né ai governi, garantirebbe assistenza a credibili istituzioni finanziarie locali, investirebbe nei loro fondi ed estendere i prestiti dietro specifiche condizioni. Attali inoltre invoca la formazione di un ministero di finanza europeo che dovrebbe avere fin da subito il potere di elargire prestiti a nome della UE e la creazione di un Fondo di Bilancio Europeo con il mandato di supervisionare i bilanci dei paesi il cui indebitamento progressivo costituisce l’85% del PIL. In altro modo, avverte Attali, ci si dovrebbe attendere una crisi più severa.
Sotto pressioni statunitensi, A. Merkel ha finalmente acconsentito a misure drastiche ( pare che Sarkozy abbia perfino minacciato di far tornare la Francia alla sua moneta nazionale in caso lei facesse lo stesso) e agli inizi di maggio i ministri della finanza ed economia della UE hanno firmato un accordo sui meccanismi di stabilizzazione dei bilanci nella Eurozona, che prevede l’istituzione di un cuscino di sicurezza di 60 miliardi di euro per riscattare con urgenza i paesi che lottano con le loro finanze pubbliche e l’allocazione di 400 miliardi di euro in prestiti garantiti. Il FMI ha inoltre promesso altri 250 miliardi in caso di necessità. Questo denaro deve servire come cauzione sul debito sovrano della Eurozona, una missione che per la prima volta nella sua storia, la Banca Centrale Europea si avvia a intraprendere. Misure atte a facilitare le transazioni finanziarie erano state annunciate dalle banche centrali di diverse parti del globo inclusa la Federal Reserve che sta per iniettare con urgenza dollari americani nella BCE così come nelle banche britanniche e svizzere.
Tutto questo può essere considerato come la prima fase verso l’amministrazione monetaria europea centralizzata. Non è chiaro ancora come i “grandi architetti” vedono la governance finanziaria globale e quale ruolo intendono assegnare alle istituzioni finanziarie esistenti come l’FMI. Le opzioni vanno dalla costituzione di istituzioni completamente nuove alla possibilità di usare l’FMI come centro di regolamento sovranazionale diretto da un consiglio di 24 grandi, un G-24.
Il piano imposto all’Europa dai circoli dell’élite finanziaria implica l’affrontare il problema dell’indebitamento con l’aiuto di nuovi presititi che potranno solo esacerbare anziché risolvere il problema dei bilanci. Secondo i dati di Eurostat, il debito sovrano dell’Eurozona crescerà dal 77,7% all’ 83,6% del PIL. Inoltre, la comunità di esperti ha ampiamente riconosciuto che i dati del debito per la Grecia, Portogallo e altri paesi della UE sono inverosimilmente bassi e non riflettono le reali proporzioni del problema.
Gli esperti della Lombard Odier, una banca svizzera, stimano che l’ammontare del credito inesigibile della Grecia costituisce l’875% del suo PIL, il che significa che per onorarlo il paese dovrebbe investire – senza alcun utile immediato – una cifra che supera il proprio PIL di un 8.75. La media corrispondente nella Eurozona è di 4.34. e negli Stati Uniti di 5.
Senza risolvere i problemi strutturali, le misure lenitive stanno spianando la strada alle istituzioni sovranazionali invocate da Attali. Il 21 maggio scorso, i ministri della finanza della UE, in un meeting presieduto dal presidente della Banca Centrale Europea Jean-Claude Trichet e dal presidente del Consiglio Europeo H. Von Rompuy, hanno adottato il piano tedesco per un coordinamento del bilancio molto più ampio che comprende penalità per gli stati che infrangono le regole di bilancio della UE. Le sanzioni comprendono la sospensione del diritto di voto per i recidivi, sospensione dei fondi per lo sviluppo strutturale, ecc. Era stato anche proposto di sottoporre i bilanci nazionali al vaglio della UE prima del loro dibattimento nelle legislature nazionali. Una relazione sarà preparata entro il 17 Giugno – data del summit della UE – con la bozza di una politica comune dell’Eurozona. Un altro - ancor più ambizioso - progetto come il controllo sui bilanci nazionali dell’Eurozona da parte di un triumvirato composto dalla Commissione europea, la BCE e l’Euro Group, verrà ugualmente discusso.
Gli svantaggi dei pacchetti per il salvataggio sono la peggior parte del problema. Nell’evocare la minaccia di collasso finanziario, i paesi della UE hanno introdotto una serie di misure di austerità estremamente impopolari come i congelamenti di salari e pensionamenti per gli impiegati pubblici, tagli nel welfare, aumento dell’età pensionabile, ecc. La Grecia è stato il primo ma non l’unico paese a essere colpito.
Il governo tedesco progetta di tagliare le spese di 10 miliardi annui tra il 2011 e 2016. La Francia ha abolito la pensione annuale per le famiglia a basso reddito. Sotto la pressione dell’FMI, la Spagna sta avviando una riforma complessiva che include congelamento dell’indice pensionistico, riduzione dei salari e licenziamenti nel settore pubblico, abolizione dei pagamenti di sostegno alle famiglie con bambini appena nati, ecc. Gran Bretagna, Italia e altri stanno percorrendo la stessa strada.
Le conseguenze delle suddette misure sono difficili da calcolare considerato che l’Europa sta già affrontando un notevole tasso di povertà e problemi di disoccupazione (quest’ultima ha raggiunto il 10% della popolazione economicamente attiva e continua a crescere e almeno 80 milioni di persone si trovano attualmente sotto la soglia di povertà).
Molto probabilmente, il governo ombra mondiale – il gruppo Bilderberg – somministrerà al pubblico l’oblio attentamente calcolato dei problemi sociali per permettere alle èlite di scaricare gli asset in crisi, conservare il controllo della situazione e deviare le proteste dalle vere cause dei problemi.
Dalla prospettiva della Russia, la conclusione è ovvia: l’intensificazione della sua integrazione nell’Europa “libera” rafforza il controllo finanziario e informativo sulla Russia esercitato da parte delle èlite globali che cercano di strapparle il ruolo di giocatore indipendente nel quadro geopolitico.
Olga Chetverikova
Fonte: http://en.fondsk.ru - http://forum.escogitur.com/index.php/topic,43771.msg53803.html
Link: http://http://en.fondsk.ru/article.php?id=3069
3.06.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.orga cura di RENATO MONTINI
"CONTRO L'ETNOCENTRISMO DELLO SVILUPPO"
Segue.... "LO SVILUPPO OLISTICO" 15/11/2008
Contributo alla conferenza programmatica del Pd di Orvieto
Di SERGE LATOUCHE
Contro l'etnocentrismo dello sviluppo
Seguendo la falsariga dei pubblicitari, i media chiamano «concetto» qualsiasi progetto che si limiti al lancio di un nuovo gadget, ivi compreso di carattere culturale. Non c'è da stupirsi, in queste condizioni, che sia stata posta la questione del contenuto del «nuovo concetto» di decrescita. Correndendo il rischio di deludere, ripetiamo qui che la decrescita non è un concetto, nel senso tradizionale del termine, e che propriamente parlando non esiste una «teoria della decrescita», come gli economisti hanno potuto elaborare delle teorie della crescita.La decrescita è semplicemente uno slogan, lanciato da coloro che procedono a una critica radicale dello sviluppo, con lo scopo di spezzare il conformismo economicista e di delineare un progetto di ricambio per una politica del dopo-sviluppo. (1)
La decrescita in quanto tale non costituisce un'alternativa concreta, ma è piuttosto la matrice che permette di costruire delle alternative (2). Si tratta quindi di una proposta necessaria per riaprire gli spazi dell'inventitività e della creatività, bloccati dal totalitarismo economicista, sviluppista e progressista. Attribuire ai suoi fautori il progetto di una «decrescita cieca», cioè di una crescita negativa senza rimettere in questione il sistema, e sospettarli, come fanno alcuni «alter-economisti», di voler impedire ai paesi del Sud di risolvere i loro problemi, significa essere sordi se non addirittura in malafede.
Il progetto di costruzione, al Nord come al Sud, di società conviviali autonome ed econome implica, per parlare con rigore, più una «a-crescita», come si parla di a-teismo, che una de-crescita. Si tratta d'altronde molto precisamente di abbandonare una fede e una religione: quella dell'economia. Di conseguenza, bisogna senza tregua decostruire l'ipostasi dello sviluppo.
Malgrado tutti i fallimenti accumulati, il legame irrazionale con il concetto-feticcio di «sviluppo», svuotato di ogni contenuto e ri-qualificato in mille modi, traduce l'impossibilità di tagliare i ponti con l'economicismo e, alla fine, con la crescita stessa.
Il paradosso è che gli «alter-economisti», spinti in posizione di difesa, finiscono per riconoscere tutti i misfatti della crescita, pur continuando a volerne far «beneficiare» i paesi del sud. E si limitano, al nord, alla sua «decelerazione». Un numero crescente di militanti «altermondialisti» concedono ormai che la crescita che abbiamo conosciuto non è né sostenibile, né auspicabile, né durevole sia socialmente che ecologicamente. Tuttavia, la decrescita non sarebbe una parola d'ordine valida e il Sud dovrebbe avere diritto a un «tempo» di questa maledetta crescita, per il fatto di non aver conosciuto lo sviluppo.
Messi all'angolo nell'impasse tra «né crescita né decrescita», ci rassegnamo a una problematica «decelerazione della crescita» che dovrebbe, secondo la pratica sperimentata nei concilii, mettere tutti d'accordo su un malinteso. Però, una crescita «decelerata» condanna a escludersi dai vantaggi di una società conviviale, autonoma ed economa, fuori crescita, senza tuttavia conservare il solo vantaggio di una crescita vigorosa ingiusta e distruttrice dell'ambiente: vale a dire l'occupazione.
Se rimettere in causa la società di crescita getta nella disperazione il mondo operaio, come alcuni sostengono, non è però una riqualificazione di uno sviluppo svuotato della sua sostanza economica («uno sviluppo senza crescita») che renderà speranza e gioia di vivere ai drogati di una crescita mortifera. Per capire perché la costruzione di una società fuori crescita è anche necessaria e auspicabile al Sud oltreché al Nord, bisogna ritornare all'itinerario degli «obiettori di crescita». Il progetto di una società autonoma ed economa non è nato ieri, ma si è costruito nel filone della critica allo sviluppo. Da più di 40 anni, una piccola «internazionale» anti o post sviluppista analizza e denuncia i misfatti dello sviluppo, proprio al Sud (3). E questo sviluppo, dall'Algeria di Huari Bumedien alla Tanzania di Julius Nyerere, non era soltanto capitalista o ultra-liberista, ma ufficialmente «socialista», «partecipativo», «endogeno», «self reliant/aucentrato», «popolare e solidale». Sovente era anche messo in opera o appoggiato dalle organizzazioni non governative (Ong) umaniste. Malgrado alcune micro-realizzazioni significative, il suo fallimento è stato considerevole e il programma che doveva portare alla «realizzazione di ogni essere umano e di tutti gli esseri umani» è crollato nella corruzione, nell'incoerenza e nei piani di aggiustamento strutturale, che hanno trasformato la povertà in miseria.
Questo problema concerne le società del Sud, che abbiano intrapreso la costruzione di economie di crescita, per evitare di ritrovarsi più tardi nell'impasse alla quale questa avventura le condanna. Per loro si tratterebbe, sempre che siano ancora in tempo, di «de-svilupparsi» cioè di levare gli ostacoli che si ergono sulla loro strada, per realizzarsi altrimenti. Non si tratta però in alcun caso di fare qui l'elogio senza sfumature dell'economia informale. In primo luogo, perché è chiaro che la decrescita nel Nord è una condizione per la realizzazione di tutte le alternative nel Sud. Fino a quando l'Etiopia e la Somalia saranno condannate, nei momenti in cui la carestia è forte, a esportare prodotti alimentari per i nostri animali domestici, fino a quando ingrasseremo il nostro bestiame da carne con delle gallette di soja prodotte dai terreni conquistati con il fuoco nella foresta amazzonica, soffocheremo qualsiasi tentativo che permetta una vera autonomia al Sud (4).
Se, al Nord, vogliamo davvero manifestare una preoccupazione di giustizia più forte che la sola e necessaria riduzione dell'impatto ecologico, forse bisognerà dare spazio a un altro debito il cui rimborso è a volte richiesto dai popoli indigeni stessi: Restituire. La restituzione dell'onore perduto (quella del patrimonio saccheggiato è molto più problematica) potrebbe consistere nello stabilire una partnership di decrescita con il Sud.
Al contrario, mantenere, o ancora peggio, introdurre la logica della crescita al Sud con il pretesto di farlo uscire dalla miseria creata da questa stessa crescita non può che occidentalizzarlo ancora di più. C'è in questa proposta che deriva da un buon sentimento - voler «costruire scuole, centri di cura, reti di acqua potabile e rinnovare l'autonomia alimentare» (5) - un etnocentrismo banale che è precisamente quello dello sviluppo. Di due cose l'una: o viene chiesto ai paesi interessati cosa vogliono, attraverso i loro governi o con inchieste realizzate presso un'opinione manipolata dai media, e allora la risposta sarà senza incertezze; prima di quei «bisogni fondamentali» che il paternalismo occidentale attribuisce loro, sono richiesti condizionatori, telefonini, frigoriferi e soprattutto automobili (Volkswagen e General Motors prevedono di fabbricare 3 milioni di auto l'anno in Cina nei prossimi anni e Peugeot, per non restare indietro, sta facendo investimenti giganteschi...); aggiungiamo, certo, per la gioia dei loro dirigenti, centrali nucleari, aerei da guerra e carri armati Amx... Oppure ascoltiamo il grido di dolore di un leader contadino guatemalteco: «lasciate in pace i poveri e non parlate più di sviluppo» (6). Scommettere sull'invenzione sociale
Tutti gli animatori di movimenti popolari, da Vandana Shiva in India a Emmanuel Ndione in Senegal, dicono la stessa cosa. Difatti, se incontestabilmente tutti i paesi del Sud vogliono «ritrovare l'autonomia alimentare», questo significa che l'avevano persa. In Africa, fino agli anni '60, prima della grande offensiva dello sviluppo, questa autonomia esisteva ancora. Non è forse l'imperialismo della colonizzazione, dello sviluppo e della mondializzazione che ha distrutto questa autosufficienza e che ogni giorno aggrava un po' di più la dipendenza? Prima di essere massicciamente inquinata dai rifiuti industriali, l'acqua, che venisse o meno dal rubinetto, era potabile. Per quel che riguarda poi le scuole e i centri di cura, siamo così sicuri che siano le istituzioni più adatte per introdurre e difendere cultura e salute? Ivan Illich un tempo aveva avanzato dei seri dubbi sulla loro pertinenza, anche per il Nord (7) .
«Ciò che continuiamo a chiamare aiuto - sottolinea a giusto titolo l'economista iraniano Majid Rahnema - non è che una dipendenza destinata a rafforzare le strutture generatrici della miseria. Invece, le vittime spoliate dei loro veri beni non vengono mai aiutate quando cercano di smarcarsi dal sistema produttivo globalizzato per trovare alternative conformi alle proprie aspirazioni» (8).
Tuttavia, l'alternativa allo sviluppo, nel Sud come nel Nord, non potrebbe essere un impossibile ritorno indietro, né l'imposizione di un modello uniforme di «a-crescita». Per gli esclusi, per i naufraghi dello sviluppo, non può essere altro che una sorta di sintesi tra la tradizione perduta e la modernità inaccessibile. Formula paradossale che riassume bene la doppia sfida. Possiamo scommettere su tutta la ricchezza dell'inventività sociale per coglierla, una volta che la creatività e l'ingegnosità saranno liberate dalla gabbia economicista e sviluppista. Il dopo-sviluppo, d'altronde, è necessariamente plurale.
Si tratta della ricerca di modi di realizzazione collettiva nei quali non sarà privilegiato un benessere distruttore di ambiente e legami sociali.
L'obiettivo di vivere una buona vita può venire declinato in molteplici modi, a seconda dei contesti. In altri termini, si tratta di ricostruire/ritrovare delle nuove culture. Se siamo per forza obbligati a dargli un nome, possiamo chiamare questo obiettivo umran (realizzazione) come lo fa Ibn Kaldûn (9), swadeshi-sarvodaya (miglioramento delle condizioni sociali di tutti) come lo fa Gandhi, bamtaare (stare bene assieme) come fanno i Toucouleurs, o fudnaa/gabbina (fascino di una persona ben nutrita e senza preoccupazioni) come presso i Borana dell'Etiopia (10). L'importante è segnare il punto di rottura con l'impresa di distruzione che si perpetua sotto l'egida dello sviluppo o della mondializzazione. Queste creazioni originali, di cui è possibile trovare qui e là degli avvii di realizzazione, aprono la speranza per un dopo-sviluppo.
Senza alcun dubbio, per mettere in opera queste politiche di «decrescita», c'è bisogno come preliminare, al Sud come al Nord, di una vera e propria cura di disintossicazione collettiva. La crescita, in effetti, è stata ad un tempo un virus perverso e una droga. Majid Rahnema afferma giustamente: «per infiltrarsi negli spazi locali, il primo Homo oeconomicus aveva adottato due metodi che non possono che ricordare l'uno l'azione del retrovirus Hiv e l'altra i mezzi impiegati dai trafficanti di droga» (11). Si tratta della distruzione delle difese immunitarie e di creazione di nuovi bisogni. Spezzare le catene della droga sarà molto difficile, anche perché è nell'interesse dei trafficanti (cioè la nebulosa delle società multinazionali) di mantenerci in stato di schiavitù. Tuttavia, abbiamo buone speranze di essere sollecitati dallo choc salutare della necessità.
Serge Latouche*
Fonte:http://www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/index1.html
Novembre 2004
note:
* Professore emerito di economia dell'università Paris-Sud, presidente di Ligne d'horizon (associazione degli amici di François Partant).
Ultima opera pubblicata: Survivre au développement. De la décolonisation de l'imaginaire économique à la construction d'une société alternative, Mille et une nuits, Fayard, Parigi, 2004.
(1) Cfr. «Sviluppo, una parola da cancellare», Le Monde diplomatique/il manifesto, maggio 2001. Vedi anche La Décroissance. Le journal de la joie de vivre, Casseurs de pub, 11, place Croix-Pâquet, 69001 Lione.
(2) Cfr. «Brouillions pour l'avenir: contributions au débat sur les alternatives», Les Nouveaux cahiers de l'Iued, n.14, Puf, Parigi-Ginevra, 2003.
(3) Questo gruppo ha pubblicato The Development Dictionary, Zed Books, Londra, 1992. Una traduzione francese è in via di pubblicazione presso Parangon, con il titolo Dictionnaire des mots toxiques.
(4) Senza contare che questi «traslochi» planetari contribuiscono a sregolare ancora di più il clima, che le culture speculative da latifondisti privano i poveri del Brasile di fagioli e che, per di più, si rischiano catastrofi biogenetiche del tipo della mucca pazza...
(5) Jean-Marie Harribey, «Développement durable: le grand écart», L'Humanité, 15 giugno 2004.
(6) Citato da Alain Gras, Fragilité de la puissance, Fayard, Parigi, 2003, p.249.
(7) L'uscita del primo volume delle sue opere complete (Fayard, Parigi, 2004) è l'occasione per rileggere Némésis médicale, che resta assolutamente attuale.
(8) Majid Rahnema, Quand la misère chasse la pauvreté, Fayard/Actes Sud, Parigi-Arles, 2003, p.268.
(9) Storico e filosofo arabo (Tunisi 1332-Il Cairo 1406).
(10) Gudrun Dahl e Gemtchu Megerssa, «The Spital of the Ram's Horn : Boran concepts of development», in Majid Rahnema e Victoria Bawtree, The Post-Development Reader, Zed Books, Londra, 1997, p.52 e seguenti.
(11) Majid Rahnema, ibid., p.214.
(Traduzione di A. M. M.)
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